Commiato vacanzifero

Questo blog, che è atipico e anticonformista, va in vacanza per remote isolette tropicali, là dove si parlano curiosi idiomi che suonano come scaracchi, e si mangiano cibi dolciastri e a tratti ributtanti (in particolare, cavallette e camole fritte: croccanti le prime, al sapore di nocciola e legno le altre. Con la paprika sopra non è che migliorino tanto).
Tra sfizi, qualche lusso e tanta avventura a suon di mangrovie e mari cristallini, la goduria sarà centuplicata a sapere che lettori e Simpatici Simbionti se ne stanno qua a soffrire e a lavorare. Se mi viene il cagotto, saprò che siete stati voi a mandarmi gli anatemi (guai a voi se mi lanciate l'eritema anatema).
Ci si rivede tra una ventina di giorni.

Buona vita,
aW

L'etica del lavoro immorale

Lavoro significa che devi credere in chi ti paga lo stipendio, anche se non ci credi più. Devi passare sopra a porcate, menzognette, soprusini e malefattuzze, perché così è e così vogliono che sia.
Lavoro implica credere con pervicacia a ciò che diciamo, anche se non ci crediamo; significa perorare cause perse e ingiuste, pur sapendo quanto siano perse e ingiuste; la chiamano professionalità, quel che ti dico di pensare tu lo pensi sul serio. In alternativa, reciti. Come dire, o sei un idiota di italiano medio boccalone, o devi meritarti l'Oscar.

Certo, si può sfidare le leggi dell'equilibrio e dell'ovvietà come funamboli, con la diplomazia, ammiccando senza ammettere, sottintendendo senza asserire. Ma è una ricerca logorante e dai risultati temporanei. E' una volgarissima pezza, cucita sapendo già che precede soltanto strappi ancora più insanabili. L'etica, qualcuno dirà, finisce dove inizia lo stipendio, e alla fine sono stato bravo. Ne rendo atto a me stesso.

Ma per chi è di indole buona, seria e fondamentalmente onesta, ciò rappresenta una insopportabile violazione della coscienza, una barbara incursione nei terreni del'amor proprio.
In ultima istanza, non è niente di grave: le cose andranno a posto da sole, in un modo e nell'altro, e soprattutto avrà giustizia chi la merita veramente.
Ma è con meccanismi come questi che sono stati condotti tutti i più grandi crimini contro l'uomo, il mondo e Dio. E mi fa male.

Amori, impegni e bubbole varie

Tra una settimana, a quest'ora, sarò già dall'altra parte del mondo.


Sette spuzzolosissimi giorni, e che sarà mai, via. Volano, qualcuno dirà.
Eppure, queste poche ore che mi separano dall'agognata vacanza sono talmente fitte e infognate di problemi/commissioni/viaggi di lavoro/posti da vedere/impegni da ottemperare/capelli da tagliare/prenotazioni da completare/valigie da fare/promesse da onorare e persino un matrimonio mezzano (perché noialtri non ci facciamo mancare niente), che ieri sera alla dolce metà ho detto, testuali parole:
Vabbò, tesò. Noi ci rivediamo direttamente sull'aereo giovedì.

Fa ridere, lo so. 
La fregatura però è che non è una battuta.

Cronache del sogno perverso

Questa mattina, il gorgoglio della sveglia mi ha strattonato come una lunghissima mano, e tirato fuori dal sogno del cazzo che si era impossessato della mia mente.
Ero, coi miei genitori che in quel preciso istante erano altrove e con cui non mi sono mai spinto oltre i confini del regno di Bari, da qualche parte in Oriente, all'interno d'un negozietto particolarmente rifornito nella zona dei mercati e del commercio. Quel posto vendeva di tutto, dai liquori ai costumi da bagno, dalle specialità locali a quelle internazionali; mi soffermo nel piccolo reparto delle pubblicazioni, tutte in inglese e costituite per lo più da fumetti e quotidiani. Là, faccio una scoperta avvincente: Lupo Alberto è stato tradotto nella lingua di Shakespeare, vale a dire Jerry & Jimdo. Credo che l'ultimo nome si riferisca alla talpa, ma non lo so perché alla fine non comprerò nulla. Quanto costerà mai, gongolo, una leccornia siffatta in un posto del genere? Leggo sul retro, a matita, sette virgola venti fetacchioni (nome della valuta di qualunque luogo al mondo, che ci evita di tenere in punta di lingua nomi assurdi come Nakfa, Satang o Lempira), praticamente un affare.
Poi, grazie ad un solerte quanto invadente scassaballe di commesso (che poi è pure il figlio della padrona del locale, cariatide parruccona perennemente ringraziante-annuente-sorridente), scopro che in realtà -e per mia comodità- il prezzo è da intendersi in Euro, cioè l'equivalente di una sontuosa cena per due a base di pesce fresco e crostacei. Ecchè, faccio io, siamo matti? Li compro in Italia, risparmio. Ma a nulla valgono le mie rimostranze, e alla fine mi mette in mano una bustina con qualcosa come quattro libretti. Rintraccio i miei, spiego loro l'accaduto e mentre lo faccio, un ragazzino tenta di strapparmene uno dalle mani per vederlo da vicino. Hai voglia a spiegare a lui e alla madre che non volevo si rischiasse di rovinarli, anche perché altrimenti me li avrebbero fatti pagare.
Infine, il trillo celesto gargarismo d'angelo peto divino della sveglia.

Ancora in questo momento, sto con l'ansia di rimettere a posto quei cavolo di fumetti: tanto vario e multiforme è il rincoglionimento senile da trentenne.

Non è che non ho tempo

Non è che non ho tempo di scrivere un post.
E' più il fatto che il Signore del Tempo ha ridotto d'ufficio la durata delle mie ore, da sessanta a trentacinque minuti cadauna.
Ciò significa che per fare una pisciata ci impiego quanto una gita alle Marmore con picnic sul prato per i comuni mortali.
L'ho già detto che voglio solo partire?

Se muovo le dita

Se muovo le dita, mi sembra già di affondarle in sabbie polverose e bianche.
Il vociare della gente somiglia sempre più alla risacca del mare.
D'improvviso mi pare di cogliere ovunque per la città le note dolciastre d'una cucina che sta dall'altra parte del mondo.
E, senza rendermene conto, mi ritrovo a ripetere mentalmente in inglese le frasi appena formulate.

Il resto del mio corpo, purtroppo, arriverà là tra una decina abbondante di giorni.

L'insonnia della dolce metà

Se la dolce metà non dorme (perché fa caldo, perché ha gli incubi o perché ha fatto il bis di peperonata a cena), in questa casa non dorme nessuno.
Fruscii di lenzuola e cambi di posizione si alternano con andamento ipnotico, tanto che quasi concilierebbero il sonno. Poi, tra un fruscio e un giramento, quelle interminabili pause, in cui noi gente normale che tenta di dormire restiamo in attesa, e senza rendercene neppure conto, ci scopriamo a domandarci e ora che farà? Un fruscio o un giramento?
E infine, si ricomincia. Fruscio, fruscio, giramento, fruscio. Esattamente con questo ritmo e questi tempi: è qualcosa di realmente insopportabile.
Se non ti sta bene, minaccia stamane la dolce metà, prenditi qualcosa per dormire la sera.
Assolutamente d'accordo, faccio io con le borse sotto gli occhi, alla sera prendo una nuova dolce metà e problema risolto.

Ma si fa per dire. A quanto pare, l'autolesionismo è una componente irrinunciabile del'ammore.

Grandi aspettative (e piccoli risultati)

Ogni diecimila euro che uno è costretto a emettere di fattura, quasi seimila sa già che non gli appartengono.
Questo, ovviamente, solo se gode delle massime agevolazioni fiscali vigenti. Altrimenti, è pure peggio.

Un giovane su tre tra i venti e i trenta anni non lavora, non studia, non protesta, non va via di casa, non fa un cazzo. Non si capisce esattamente che esista a fare.

Il nostro Presidente del Consiglio, evidentemente al culmine di una logorante malattia che gli ha sclerotizzato del tutto il culo facciale, parla di scarsità dei suoi poteri, di impossibilità per lui di legiferare, di magistrati bolscevichi (ma solo quelli che indagano su di lui: gli altri sono bravi) e dei legacci della Costituzione.
Cioè, cincischia e farfuglia e s'indigna per cose che con la gente di questo paese non hanno niente a che fare.

Non è inutile burocrazia, che pure fluisce copiosa nelle vene di questo Stato, è proprio che i nostri Padri Costituenti hanno creato un intero sistema per impedire a quelli come lui di fare quello che vuol fare lui. Essù, se ne faccia una ragione, oppure cambi continente. Qua da noi, purtroppo, in troppi siamo abituati alle comodità della democrazia.

Nonostante gli sdruccioli

Nonostante lo sciame di sdruccioli, che tutto fa fuorché arrestarsi, ho scoperto che io e la dolce metà siamo una vera famiglia.
E' amore fatto sostanza.
E onestamente, 'sti cazzi di tutto il resto.
Intanto, la dolce metà è tornata e mi ha raccontato di aver visto sotto casa una nostra vicina, di evidenti origini africane, con la cassa di bottiglie d'acqua sulla testa mentre apriva tranquillamente il portone.
Non importa quello che accade. Se siamo autentici, la realtà prima o poi si piegherà a noi.
Ora so anche questo.

Professionista della gaffe

Io parlo, e parlo sempre troppo.
Una parola galeotta e assolutamente inappropriata, la mia classica caduta di stile tra osservazioni altrimenti pertinenti e commenti in punta di forchetta. Hai voglia a sperare che il tempo smussi, l'accomodamento altrui soprassieda o un diversivo inaspettato distolga le coscienze: fateci caso, in certi momenti non c'è mai un passerotto che sbaglia traiettoria e ci frulla in faccia, o magari un bel blackout improvviso col piccolo panico che ne consegue. No. Tutte cose che sono accadute sul serio, ieri, ma non quando serviva a me.
Poco male.
Peccato solo che mi sia capitato con una delle persone più puntigliose e precisette che conosca, di quelle che sorridono sempre e ti allisciano la schiena, e poi ti ritrovi graffi da pantera dell'Amur.
Davvero, poco male.
Un paio di scuse sentite, e invece di un gradito buttaincaciara volemosebenista mi sono dovuto pure sorbire un predicozzo paternalistico (anzi, avunculare) sulle piccole lezione di vita di cui debbo fare tesoro.


Donna ingenua. Sono trent'anni che faccio tesoro delle mie gaffe, e puntualmente ci ricasco. Un'arte così non si improvvisa dall'oggi al domani: sono un professionista della gaffe, io.
Altroché.

Gli sdruccioli

Gli sdruccioli sono entità poco fisiche ma molto empiriche, in grado di rovinare la giornata anche al più meditativo dei bontemponi. Di solito, assumono la forma di un incidente imprevisto, di una ruota bucata, di un treno perso o di una torta bruciata, ma possono anche ribaltare all'improvviso il corso della storia o produrre una guerra inaspettata (o la sua fine): sono creature cui non appartiene il senso della misura né la lunghezza del tempo.
Fortunatamente, sono anche molto solitarie, ed è raro imbattersi in un due sdruccioli nella stessa giornata.

Ieri io e la dolce metà siamo finiti in un intero sciame di sdruccioli, tanto fitto da non lasciar passare luce fino alla sera. Poi, un vinello di quelli buoni e i maltagliati ai porcini freschi ci hanno aiutato a dimenticare tutto.
Il prossimo sdrucciolo che prova ad avvicinarsi, sono cazzi suoi.

Lettera all'italiano medio

Mi sono montato la testa e voglio scrivere all'italiano medio, quella curiosa creatura per metà televisione e metà testa di cazzo, che al posto della colonna vertebrale ha il tubo catodico, quel membro di un'antica commistione di contraddizioni che chiamiamo popolo italiano: è la sua contraddittorietà che lo compatta e unisce, ed è a lui che rivolgo questi miei personalissimi deliri.
Ti odio. Alla faccia della captatio benevolentiae, ti odio.

Ti odio per talmente tante ragioni che, sono certo, ne dimenticherò una buona parte fuori da questa missiva; ti odio perché sei una bestia emotiva, che non ragiona, che si lascia condizionare, che guarda al proprio minuscolo mondo, al paesello, che non ha mai una visione di insieme, che se sto bene io che me ne frega di quell'altro, che se un CT vince, vinciamo tutti, ma se perde è un coglione, e meno male che glielo avevo pure scritto sui commenti su Gazzetta.it di non schierare Pirlone e Cazzone come centravanti.


Ti odio perché sei incapace di idee originali, perché ti bastano due tette, un culo e un pallone per dirti sereno, e perché non sai mai vedere al di là del tuo naso. Fai tuoi i pensieri ipersemplificati dei tuoi amici/conoscenti italiani medi, e attraverso questo passaggio di impressioni (e mai di informazioni) colme di lassismo/incuria/leggerezza/strafottenza/ignoranza i significati si perdono, e finisci col riempire grandi parole di piccoli pensieri. Pensierini da terza elementare fotocopiati a miliardi, cambiano solo gli errori di grammatica. E allora, parliamo di immigrazione? Ah, sull'autobus è pieno di immigrati che puzzano, ma se ne stessero a casa loro. Ignorando che, se se ne stessero davvero a casa loro, la nostra economia riuscirebbe davvero a fare il tonfo che da anni sfioriamo un giorno sì e l'altro pure. Parliamo di televisione pubblica? Ah, è uno schifo, era ora che togliessero quel Santoro/Biagi/Dandini/Travaglio/Grillo/Saviano come cazzo si chiama, no quell'altro, ah sì, Luttazzi, visto che è la tv pubblica e la paghiamo noi. Piccolo, ingenuo, testina di cazzino di italiano medio, ascolta le mie parole. Primo, a me -e a molti italiani- viene il voltastomaco vedendo le isole, i terrapieni, le fattorie e le marie de filippi che ami tanto, ma nessuno ti rompe i maroni: è sufficiente cambiare canale. Secondo, siccome sono un grandissimo diffidente, quando qualcuno mi spiega le grandi ragioni etiche e morali per cui mi piazza un Minzolini qualunque come direttore d'un TG (ma questo vale per qualunque discorso), di solito mi domando chi ci guadagna e chi ci rimette. E a togliere certe figure ci guadagna solo uno, che non sei tu.
Sai, neppure a me piacciono Santoro o Luttazzi, ma non ho la grossolana arroganza di puntargli il dito contro solo per questo. I parametri di giudizio sono altri, e riguardano lo share e le entrate economiche: il restò, sò chiacchiere.

Ti odio perché sei mediamente ignorante, scarsamente curioso, platealmente ingenuo, perché sei attaccato alla tradizione soltanto quando si tratta di essere bigotti e superficiali: per le staminali neppure ti schiodi dalla sedia, però poi i froci sò froci e quindi non hanno diritto di amarsi e convivere, e se ti tolgono uno scudetto distruggi un centro storico.
Ti odio perché si parla di evasione, e qualcuno riesce a dire epuriamo gli ambulanti, ché quelli sembrano poveracci ma fanno i miliardi mentre io mi faccio un mazzo tanto e pago le tasse. Vedi? Sei sempre rinchiuso nel tuo personale microcosmo, fatto della strada che fai ogni mattina per andare a lavoro, delle persone che incontri quando fai la spesa, e del bancario quando versi l'assegno. Il che non è affatto sbagliato: sbagliato è spiegare tutto ciò che avviene al mondo in quell'unica, limitantissima chiave.

Mai come in questi ultimi mesi si respira un'aria stagnante e putrescente che limita la parola di alcuni a scapito degli altri, mai come in questo periodo di partiti dell'amore si tocca con mano intolleranza e violenza. Ma sai, a te piace parlare per il gusto di parlare, dire cose per il gusto di dirle, prendere posizioni per il gusto di avere una posizione. Due chiacchiere, un crodino e poi tutti a casa senza aver appreso o insegnato nulla, senza essere cresciuti, senza aver modificato la propria visione del mondo, né quella degli altri. Rammàricati, perché sei inutile all'evoluzione di questo paese.
Sai, è facile lagnarsi che tanto tutto va male, è tutto un magna magna e cose così. Più difficile è cercare di crearsi una opinione il più possibile critica. Vedi, io non ce l'ho con te per le tue idee, ma per il fatto che sei disposto a difenderle fino allo stremo senza uno straccio di prova. Ma sì, lo so, a te non servono le prove: a te basta sentire di essere nel giusto. A te basta vederti accerchiato da gente che la pensa come te. Se molti la pensano così, forse l'ipotesi è corretta.

Ed è quella la distanza più incolmabile tra me e te. A giudicare il mondo ci sono io, l'intero universo dell'informazione libera e la mia coscienza. A te, basta il telegiornale flash da quindici secondi tra la partita e Centrocampo, e l'opinione preconfezionata che ti propinano.

Rammaricatene, perché se i soldi dello stipendio non bastano e il comune non ripara le buche nelle strade è anche colpa tua.

Ultimatum al clima

Visto che il clima non ne vuol proprio sapere di mettersi a posto da sé, informo i miei lettori che -in seguito ad un evidente sbalzo di betacarotene nel sangue- l'estate è formalmente istituita d'ufficio a partire da ieri, giorno in cui ho fatto il primo bagno della stagione e ho goduto di un bell'aperitivo bordo piscina.

Il mal di gola e il freddo sono un'illusione della mia mente.
Il mal di gola e il freddo sono un'illusione della mia mente.
Il mal di gola e il freddo sono un'illusione della mia mente.
Il mal di gola e il freddo sono un'illusione della mia mente.
E' estate, bisogna solo convincersene.
E ora scusate, vado a prendere un'aspirina.

Il piccolo mondo azzimo

Questo piccolo mondo azzimo che conosco è stortarello e ipotrofico, con poco mare sparso a cazzo, e poca terra, messa peggio. Ha un colore marroncino chiaro e dimensioni adatte ad uno scarabeo stercoraro, ospita poca vita e soprattutto risulta impregnato di un'atmosfera costituta prevalentemente di idrogeno, ossigeno, sfiga e diffidenza.
Non ruota su se stesso, né orbita attorno a un piccolo sole: di per sé parrebbe un gingillo sgombro, quasi inutile, un giardino morto.

Eppure su di esso c'è vita, e l'unica luce che vi si scorge proviene dai corpi dei suoi abitanti. Piccole, filiformi e percorse da bagliori pulsanti che partono dai piedi e spariscono nel capo, queste creature brulicano su quel torrido globetto con la propria natura di stelo morbido e lucente; ed il loro movimento, le azioni e i loro desideri ingannano l'occhio con le danze di un aggraziatissimo anemone, o di un prato inaudito mosso da un vento che non c'è.

E' la natura che talvolta si diverta a riempire di bellezza luoghi e cose altrimenti ignominiose.