Il mio nonno idralcolico

Mio nonno è tarchiatello e buono, di quelli che non danno fastidio manco alle mosche, al massimo a scazzupoli, gronchi, sarpe e cefalotti. Non fuma e consuma pochissimo: con un litro va avanti tutta la sera dalle guerre puniche fino a quando faceva il maresciallo sull'Andrea Doria, con brevi cenni alla Grande Guerra - ma che ne vuoi sapere tu, che io in Germania ho mangiato le bucce di patana - e sprazzi di un'epoca in cui non servivano tv, cabarè e subrèt: le cose facevano ridere per come erano, naturalmente e senza aromi artificiali strani.
La sua più grande peculiarità - e probabile origine della mia certa apotropaicità verso che mi ama - è che a Saltacavallo porta sfiga a chi gli sta sulla destra. Poche chiacchiere, è certificato e riconosciuto dagli organismi scientifici internazionali; una volta Piero Angela ci ha fatto un numero speciale di Quark, quello sull'occulto, andatelo a vedere. Se ti metti subito dopo di lui è matematico che il nonno ti passa l'asso e quello dopo di te ha il dieci, così che l'asso te lo tieni e paghi.
Magari non sei l'unico a pagare, ma paghi comunque. Ed esci dopo tre, quattro turni al massimo. Noi, che siamo bastardi e lo sappiamo, a Natale invitiamo sempre qualcuno nuovo e lo schiaffiamo lì in onore all'ospite. Bugiardi e infingardi come le pubblicità delle marmottine con le ali che si sciolgono nella gola e anche nel naso e poi caghi che è una bellezza.
Ieri, però, mio nonno è finito in ospedale, per la seconda volta in poco tempo e stupidamente.
Lui dice che sta bene. Lo diceva ieri nel cubicolo, lo ripeteva anche la sera prima, tenendosi le braccia che tremavano per l'insufficienza respiratoria - vedi? sto già meglio, non tremo più - e mia madre, sarcastica, che lo rimbrottava papà per le braccia abbiamo risolto, ma le gambe come le fermiamo?
Risultato, mascherina dell'ossigeno e antibiotici. Che se ci andava con le gambine sue una settimana fa, dal medico, ora aveva finito la curetta e stava in panciolle a pescare nei tre metri abbondanti di spiaggia libera a Santa Marinella.
Ieri, mentre gettavo lo sguardo alla sua ricerca tra salette anguste, capezzali di moribondi e fantasmi coperti di pelle, l'ho scovato che stava in fondo al corridoio con la gamba piegata sulla panca per allacciarsi meglio i sandali. Non sembrava un malato al sanatorio, pareva Reinhold Messner che faceva stretching prima di arrampirasi sul K2. Nonno, ma che ci fai qua? Tu non c'azzecchi niente, gli ripetevo, mentre non potevo far a meno di notare la grande tristezza che lo circondava e che non lo intaccava minimamente.
Mi riposo un po', dice lui. Fà le parole crociate, si scambia le malattie coi vicini tipo figurine, fà un po' di dieta che non ci sta mai male: lui non sta in ospedale, sta in clinica di bellezza e Bressanone.
Ha avuto fortuna tutte e due le volte, mio nonno. Ma parecchio di questa fortuna se l'è procurata da solo. Ha creato uno stuolo di persone così tanto affiatate e così tanto innamorate di lui, che non avrebbe quasi bisogno di preoccuparsi di sé stesso.
E quando il medico gli ordina di bere al massimo un bicchiere al giorno, io gliene vorrei offrire subito due, perché a una certa età la verità è che ci meriteremmo tutto.
E fà un certo effetto sapere che mio nonno, all'ospedale, sta meglio di tanti altri fuori.
Mio nonno ha ottantasei anni suonati, e stasera, quando stappate il vermentino per accompagnare l'orata, fate un brindisi alla sua salute. Se lo merita tutto.

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