Il minchialadro

Il minchialadro è uno che nasce e cresce in una famiglia di ladruncoli, svaligiatoretti, rubacchiapensioni, scippatoretti e approfittatori, e che si ritrova a fare il ladro più per necessità che per vocazione. Un po' come quando i tuoi ti fanno andare al Classico e tu invece volevi fare l'astronauta della NASA, solo con declinazione illegale.
Il tizio in questione, notoriamente dotato d'una preparazione furfantesca da dilettante (avrà scaricato da Internet delle dispense, va' a sapere), si è presentato nei giorni scorsi alla porta di casa nostra e ha tentato di scardinarla.
Ora, a parte che la nostra porta è costituita da mica elfica ed è pure corazzata con corindone e polvere di osso di minchia di unicorno megalofallo del Regno di CapoTirciuto. E quindi, già di per sé è in grado di sostenere effrazioni, assedi spartani e attacchi nucleari. Ma per di più, protetto da inferriate, zanzariere e il solito fossato di coccodrilli, dentro casa pulsa e blippa un sofisticatissimo sistema antifurto in linea diretta con polizia, Scotland Yard e la mamma di una nostra cara amica.
Seriamente, polizia e servizi segreti gli fanno una sega, a quella donna: non vorrei essere nei panni del minchialadro quando se la ritrova davanti.

Il sistema antifurto è tanto intelligente che, quando entriamo, mica si limita a controllarci retina e timbro vocale. Fa pure le domande a trabocchetto, lo stronzo. L'ultima volta devo dire che con la capitale del Burkina Faso ho trovato qualche difficoltà, ma per fortuna avevo indovinato i precedenti enigmi e mi ero aggiudicato un bonus che convertirò in gettoni d'oro a canale cinque.
Ciò che disturba è il danno in sé, anche se poteva andarci oggettivamente peggio, e soprattutto il fatto di essere spiati e studiati come pesci rossi nell'acquario da gente senza scrupoli e incapace. Oltretutto, tolte poche cose voluminose, qua non abbiamo né ori né incensi né mirra. Birra sì, quella tanta.
Al minchialadro quindi voglio dire soltanto che non è mai troppo tardi per togliersi dai maroni e mettersi a fare qualcosa di utile all'universo. A prescindere dalla resa.
In ogni caso, apprezzeremo lo sforzo.

Non si può chiudere Internet

Non si può chiudere Internet, né allucchettarlo per assecondare le velleità di controllo dei soliti noti: è semplicemente troppo grande anche per le mire smisurate di un ego ipertrofico come quello del nostro Premier.
Però, in compenso si può fare molto per scoraggiare i blogger che producono informazione precisa, puntuale e trasparente con burocrazia, balzelli e intimidazioni legali. E' un'ellissi della forma, mica della sostanza.
E mentre da noi si tenta un ulteriore colpo basso per tarpare le ali al pensiero critico e alle voci alternative, dall'altra parte dell'Atlantico scoppia il casino Wikileaks, mentre gli islandesi fanno i fighi tutelando l'informazione sopra ogni altro diritto.
Seriamente, ma quand'è che anche questo paese inizierà a preoccuparsi delle questioni veramente importanti, come la libera informazione, l'energia, la banda larga, le infrastrutture? Da quant'è che non si parla di lavoro, disoccupazione e più in generale problemi reali della gente?
Scusate l'esplicita sfacciataggine, ma chi crede che tra le nostre priorità capeggino intercettazioni, fughe di notizie, revisione della giustizia e smantellamenti della costituzione o è in malafede o è un povero demente.
Di solito, i primi fanno parte della nicchia e sono collusi, i secondi invece sono dei poveri mentecatti che senza neppure rendersene conto fanno il gioco dei primi.
Ecco, mo' l'ho detto.

Tecnologia hard su strada

Su strada (a scanso d'equivoci, non guido io), chiamata Skype in corso su iPhone con un'amica. Nel frattempo, arriva una chiamata voce convenzionale e il telefono mette in attesa la chiamata Skype: è mia zia che m'avvisa di un incidente un poco più avanti (le avevo appena scritto via mail che andavo al mare).
Con ancora la chiamata Skype in attesa e mia zia al telefono, controllo su Internet il traffico in tempo reale e confermo l'incidente. Chiudo con mia zia, ritorno serenamente alla mia amica su Skype.
Il traffico me lo sono fatto comunque (la strada è una) e la batteria ora non dura manco cinque ore.
Ma vuoi mettere la soddisfazione?

Fare e disfare

E' incredibile come nella vita si passi gran parte del tempo a fare e disfare.
Niente di più e niente di meno, come la giri e la volti è una perdita di tempo: spesso, per costruire qualcosa, non abbiamo materialmente il tempo per buttarne giù un'altra.
Oggi, però, è una giornata di quelle buone. Oggi si erige un piccolo monumento al rapporto tra me e i miei fratelli. Non un mausoleo, intendiamoci.
Appena una di quelle pietruzze miliari che delimitano il cammino della gente, per carità; ma sono quelle insignificanti pietruzze che, nel complesso, ci aiutano a seguire il nostro destino.

Il bello dei Simpatici Simbionti

Il bello dei Simpatici Simbionti è che non si può fare uno starnuto senza essere letteralmente inondati di chiamate apprensive, messaggi istantanei di solidarietà o sms di preoccupazione. E questo a prescindere dalla natura del problema: dal meno lusinghiero dei cagotti per finire ai guai più seri, tutti pretendono il sacrosanto diritto d'informarsi, di consigliare rimedi e posologie, nonché di rammentarci i motti della nonna. In qualche caso, arrivano pure le minacce (se non finisci il riso in bianco, resto tutto il giorno qua).
Non è una cosa per tutti, però.
E' un privilegio che si conquista a botte di decenni, gaffe storiche e sincero affetto.
Il resto, per fortuna, poi passa.

Sogno Thriller

Sogno di stanotte, realmente avvenuto. Scena finale, l'unica di cui abbia memoria.
Interno negozio malfamato, chiaroscuri preponderanti e bottiglie di gionni uolcher in primo piano come da minimo sindacale. Il detective Sprout, rigorosamente di colore e icelofanato in un impermeabile ocretto lait, aveva una malformazione dalla nascita che lo aveva reso sordo: eppure, nel suo lavoro era un figo. Un po' per questo e un po' a causa dei metodi non proprio convenzionali,  era spudoratamente osteggiato dai colleghi, e guardato con diffidenza da quelli di Woscinton. Tutti, potendo, lo evitavano, tranne le donne che gli sbavavano dietro e il suo capo, cui tributava affetto in maniera elusiva e condita a suon di buffetti sul viso, pugni sulle spalle e calci nei maroni.
Il detective Sprout era non convenzionale anche nell'ammore.
Insomma, tornando al sogno, il detective strattona il tizio alla cassa e gli sussurra con parole insicure e biascicate ora fingerò di ucciderti.

Dall'altra parte, entrano dei tizi incappucciati, armati e visibilmente incazzati. Il piano è chiaro (almeno per me che sono il copyrighter del sogno): se tenteranno di sparare al detective, saprà da che parte stanno e avrà  risolto il caso del traffico di coca a Manhattan, delle zambracche del boss mafioso e pure del suo spazzolino scomparso che lo lascia sempre a casa di tutte le donne che tromba e poi non si ricorda neppure come si chiamano.
E invece, i tizi sparano al cassiere, che gli si affloscia tra le mani e crepa con gli occhi rigirati nel suo stesso sangue.
Poi è suonata la sveglia, e ci è voluto qualche attimo per riprendermi da un sogno tanto inconsueto e idiota. Col senno della veglia ho capito due cose. Primo, che il detective Sprout non ci aveva capito bellamente una mazza, e che quindi non eravamo alla scena finale. E due, che lo spazzolino stava da Shanina, la vicina di casa che ogni tanto gli fa le pulizie. 
Ma non lo confesserebbe mai nel film, perché Shanina è un po' una cozza.

Domani gradirei un bel sogno fantasy. Stessa ora, stessa rete (ortopedica).

Il corpo è tornato

E' la testa che è ancora là...



Aeroporti, virtù e aria di casa

Dopo venti giorni lontano da questo paese, esattamente dall'altra parte del mondo e senza quasi alcun accesso alla Rete, rientro e quasi mi manca l'aria, tra sussurri massonici, sfregi mafiosi e la solita ingiustificata, ignorantissima intolleranza della nostra gente.
Eppure, le avvisaglie c'erano già, e qualcosa mi diceva che a queste latitudini e longitudini, le cose vanno in modo differente.
Aeroporto di Bangkok:
Grande, spazioso, luminoso, pieno di negozi. In venti minuti, e nonostante il traffico notevole, sbrigo le formalità burocratiche e mentre mi avvicino ai nastri - che già esibiscono i primi bagagli - noto con piacere i carrelli già posti lì davanti per la comodità dei turisti, tutti perfettamente allineati come falangi di Sparta. Dietro di essi, schiere di comode poltrone per ingannare terga e attesa.
C'è stato un piccolo disguido a causa di un violento acquazzone tropicale, il tizio dei bagagli (rapido, cortese e armato di walkie talkie collegato direttamente con la centrale operativa del Padreterno) sa già di cosa si tratta quando ci avviciniamo, ci rassicura e promette che in dieci minuti sarà tutto a posto.
Dopo nove virgola tre minuti i nostri bagagli arrivano, li carichiamo soddisfatti e ci avviamo all'uscita. Il tizio ci insegue e chiede se è tutto a posto, poi ci saluta e si accomiata pronto per nuove ed entusiasmanti avventure.
Aeroporto di Fiumicino:
Puzza, è triste ed è anche sporco, il che è sorprendente visto che siamo il primo volo ad arrivare la mattina. Niente carrelli, perché da noi sono a pagamento (caso unico al mondo, temo); quindi ci avviciniamo ai nastri, che però restano fermi per mezz'ora. Poi, tra cigolii sinistri si muovono e sputano fuori due valigie (a una manca la maniglia, si lagna il proprietario) e un beauty malconcio. Poi si fermano. Panico della gente; iniziano le lamentele al customer care nella veste di un quarantenne dall'aria divertita che sghignazza spudoratamente dietro ai computer con Campo Minato®, il nuovo gestionale di ADR. Ancora un'altra generosa mezz'ora di attesa e finalmente arrivano pure le nostre, di valigie. Guardinghi e rassegnati ci appropinquiamo all'uscita, mentre un doganiere implacabile finisce letteralmente di sventrare la valigia di una signora davanti a tutti.
Se con la coda dell'occhio le ho visto tampax e mutande, qualcosa mi dice che in questo paese alcune privacy sono più tutelate di altre.