Toldo, il polpo depresso

L'altra sera passeggiavo sul lungo mare, iroso e meditabondo sulle varianti nella ricetta del moussàkas, che troppi ristoratori senza scrupoli edulcorano depennando la cannella dalla lista degli ingredienti.
Immerso in pensieri tanto grandi là, proprio sulla scura battigia ghiaiosa, rinvenni un simpatico polpone che il mio atavico istinto di cacciatore mi suggerì pesare per lo meno sette etti. Incuriosito da tale scoperta, mi avvicinai all'animale e scoprii che non era affatto simpatico. Anzi, diceva le parolacce e petava rumorosamente. Ad ogni flatulenza, peraltro, i tentacoli sventolavano come bandiere al vento, e a quelle più grosse si arricciavano addirittura.
Con estrema cautela mi provai a parlargli col tono più dolce di cui ero capace.
"Piccolo polpetto, cos'hai che non va? Mal di pancia? Aerofagia?"
Il piccoletto alzò degli occhioni enormi e languidi, umidi di lacrime, e mi studiò per qualche secondo, il mio volto aperto in un sorriso rassicurante.
All'improvviso mi riempì di improperi come neppure il mio vicino di casa ha mai sentito. E sì che ha fatto il minatore in Turchia, prima di diventare scaricatore di porto a Civitavecchia.
"Ma quale aerofagia e aerofagia?" mi investì "Non lo vedi che sto piangendo? Il solito qualunquismo di voi asciutti. Arroganti che vi credete che il mondo gira solo dove c'è aria. Bè, sappiate che il globo lo chiamano terracqueo apposta! Se no lo chiamavano terrareo, lo chiamavano." E giù un altro paio di bestemmie e arricciamenti tentacolari.
Costernato, provai a spiegare "E' che sentivo dei rumori e credevo..."
"Ma cosa credevi?" e scivolò verso di me minaccioso, tanto che per la sorpresa arretrai d'un paio di passi. "Il fatto che non piango come voi asciutti, non vuol dire che noi decàpodi non abbiamo sentimenti! Ecché!".
Attesi qualche momento, indeciso sul dafarsi. Da una parte sentivo la voglia di andarmene, ma dall'altra desideravo saperne di più.
"Decapode, dici? Credevo i polpi avessero otto tentacoli. Come ti chiami?".
"Qualunquista e pure disinformato." poi d'improvviso il rimprovero divenne lamentoso ricordo "Mi chiamo Toldo" sbruffò "ma d'altro canto come biasimarti? Non è certo colpa tua. Dopotutto come puoi sapere che esiste una razza di polpi a dieci braccia, visto che tutta la razza sono praticamente io?"
"Mi spiace molto di sentirtelo dire. Ma come mai sei rimasto solo tu?"
"Perché la nostra carne è la più tenera tra tutti i cefalopodi, profuma di brezza marina, sguazza nel guazzetto, abbraccia la gavetta, seduce i carboni ardenti, sposa le patate pregiate di Montese e tradisce talvolta con le cipolle rosse di Tropea. Ecco perché." disse con un tono disgustato e afflitto.
"La nostra unica colpa, l'unico motivo per cui ci siamo estinti è che voi asciutti mangiate troppo e troppo spesso” e guardò vagamente sussiegoso il mio girovita.
Fingendo di non aver visto e lanciando gli occhi al cielo, tentai tuttavia di consolare il poveretto. In effetti, immaginai che essere gli ultimi della propria specie può rendere irritabile chiunque.
"Posso fare qualcosa per te? Vuoi venire a casa mia per un po'?" gli dissi con un moto di improvvisa pietà che sorprese anche me.
"Certo, è giusto ora di cena, cosa c'è di meglio d'una bella insalata di mare, con questo caldo?" insinuò velenoso. E in effetti non è che avesse torto, ma non erano quelli i miei intenti; per dimostrarlo proposi radioso "Cosa mangiano i decapodi? Una cozza, magari? Una foglia di lattuga?"
"Guarda che mi sto estinguendo anche senza che ti ci metti pure tu a farmi morire di fame", rimbrottò sarcastico "e comunque, non pretendo mica la luna. Due spaghetti aglio e olio, una fettina panata e un'insalatina andranno benissimo."
"Aglio e olio?" ripetei con la mandibola cadente per l'incredulità.
"Si, ma poco piccanti, se no non li digerisco. Andiamo, va." due peti, due strizzatine di tentacoli e si incamminò accompagnato dal mio sguardo costernato.
Arrivati a casa gli organizzai una piscina d'emergenza nel lavello della cucina. Così, oltretutto, poteva farmi compagnia mentre spignattavo."Attento alla mensola sopra la cucina, balla un po'", gli dissi.
"Ma questa stamberga, ti pagano un tot al mese, per viverci dentro o era l'ultima casa disponibile sulla terra?"
"Guarda che se non lo sbucci, poi l'aglio non si sente."
"Si sta bruciando l'aglio: ti pare il momento di stare al telefono? Tutti uguali, voi asciutti".
Intanto che mi rampognava allegramente, pretendeva di controllare quello che facevo. Non ero un gran cuoco, secondo Toldo. A dire suo nessun asciutto è un gran cuoco. Ma sospetto che le sue convinzioni nascessero dal fatto che molti suoi parenti siano finiti sui loro deschi. Intanto si era arrampicato con un tentacolo sulla mensola per controllare il fondo della padella. "Questa padella te l'ha lasciata in eredità il cuoco di Napoleone? Pensiero carino, ma prima poteva pulirla".
"Non salire sulla mensola! E' rotta!" lo redarguii mentre tornavo dal telefono. Ci mancava pure che cadesse e si facesse male. Cosa c'è di più insopportabile d'un polpo nevrotico e a rischio estinzione davvero non lo potevo immaginare.
"Ma le fettine le impani nella segatura?"
"Cos'è, quello, olio o grasso di foca? Senti che puzza. Da un asciutto come te non mi meraviglierebbe sentire che scuoia trichechi per farne olio da frittura"
"Dopo mi passi il sapone? Non per i piatti, ma per lavarmi di dosso la puzza di questo lavandino. Cos'è, ci conservi il letame dei trichechi che scuoi, qua dentro?"
Mentre correvo da una parte all'altra della cucina nel tentativo di non scontentare il mio ospite , fu allora che accadde la tragedia.
Lo sentii dire "Qui bolle da cinque minuti, che facciamo, porti gli asciugamani e via di suffumig..." seguì uno schianto metallico e poi più niente.
Alzai gli occhi e vidi la mensola penzoloni, appesa per un lato, che ancora oscillava. Mi avvicinati col cuore in tumulto e urlai "Toldo, no!". La mensola aveva infine ceduto e Toldo era finito, povera bestiola, diritto diritto nella pentola dell'acqua salata per gli spaghetti.
Attesi qualche minuto in religioso e compassato silenzio, adagiai Toldo, ancora bollente, nella terrina e feci la veglia tritando aglio e prezzemolo. Poi, lo benedii con prezioso olio di frantoio e onorai una bella cerimonia.
Come in ogni funerale che si rispetti (unica differenza: non era la solita frase fatta di rito), conclusi sentitamente che sì, Toldo era veramente un polpo buono.

3 commenti...:

Anonimo ha detto...

Virtuoso ma senza compiacimenti...
brillante ma non pretenzioso...
Come è possibile che nessuno abbia ancora commentato questo testo così saporito e garbato?

Nell'attesa di decidermi ad aprire il mio blog (momento che temo coinciderà col pentirmi immediatamente dell'averlo fatto) starei prendendo in considerazione di pre-nominarti mio ghost writer :-)

Francesco

aWilito ha detto...

Toldo è uno dei miei personaggi cui tengo di più ;)
Grazie di essere passato

aW

Anonimo ha detto...

molto intiresno, grazie