Il piccolo pevero

Il piccolo pevero s'era convinto, chissà come, di poter essere comandante, o almeno commodoro.
In verità, è già tanto se lo tenevano sulla nave.

I simpatici simbionti

Noi siamo dei simpatici simbionti.
Se uno di noi si sposa, ci sposiamo tutti. E tutti abbiamo avuto la nostra legittima parte di decisioni, prenotazioni e preoccupazioni; manca solo - e per fortuna -  la prima notte di nozze. Se uno di noi si laurea, ci laureiamo un po' tutti, stress discorso e studio compresi.
Al momento ho all'attivo quattro matrimoni e parecchie lauree. Mi sento un po' provato, in effetti.

Il mare in subbuglio

Il salmone risaliva la corrente con sferzate della potente coda, mentre la seppia rincorreva giocosa i gamberi reali, che si divertivano un po' meno, anzi si cagavano sotto.
Le uova di pesce volante, sabbia zuccherina profumata di mare, piovevano e coprivano lentamente ogni cosa, mentre piovra ed anguilla facevano a chi ce l'aveva più lungo, l'uno il tentacolo, l'altra la coda.
Il tonno, grosso monarca dal profumo delicato e invitante, stava assiso sul mio stomaco, immoto e pesante come un una messa in latino, ed assolutamente deciso a rimanervi fino a stamattina.
Mi sa che non lo digerisco tanto, il sushi, alla sera.

Il saggio informatico dice:

Quando la gente nn avrà alternative e dovrà per forza pagare la licenza di windows, allora si accorgerà dell'infinità di alternative che ha sempre avuto a disposizione.
Adoro le storielle zen.

Il pupo di trent'anni

Il pupo di trent'anni ha una capacità innata e soverchia di ficcarsi in qualche guaio. Di solito, ciò avviene perché è perennemente impreparato alle - pur prevedibilissime - faccende che deve affrontare. Così, per dirne una, se ha da fare un compito, una frittata, una tesi di laurea o un discorso alla nazione, arriva sempre ed inequivocabilmente in ritardo, e ciò che è peggio, ne è cosciente. Cucina, studia o compra i biglietti del teatro sempre quattro minuti, quattro ore o quattro giorni prima della cena, dell'interrogazione o dello spettacolo. Soffre se lo si riprende e scalpita se lo si invita a non attendere oltre.
Chi ha tempo, non aspetti tempo. Da ripetere mille volte prima di ogni pasto. Ma non servirà a niente.
E così, avviluppato nell'urgenza di ogni compito demandatogli dal fato, il pupo di trent'anni arranca e annaspa e tuttavia cincischia ancora, e si lagna, e vorrebbe dedicarsi ad altro. E non capisce che passerebbe da una inderogabile necessità ad un'altra, forse persino più tragica, o comica, a seconda di chi osserva.
Gli chiederete di appendere un quadro e passeranno giorni, forse parecchie settimane, prima che si decida ad accontentarvi, complici le urla belluine scagliategli contro da qualcuno con la pazienza debole. Poi, quando ve ne sarete dimenticati, tornando a casa troverete le pareti tappezzate di buchi, la mensola penzoloni e la scarpiera divelta, che tanto che ti frega, la volevi buttare, no?
Il pupo di trent'anni non sa mai assegnare le priorità, e così innaffia quando piove, prende il bus quando è sciopero e, se al Magnifico Rettore da del tu, al ragazzino per strada è capace di dare del lei. Piacevolmente invadente, incredibilmente ingenuo e pericolosamente testardo, il pupo di trent'anni è un adorabile pozzo nero di caos, strafottente impunità ed irresistibile sfacciataggine.
Ma non cercatelo in giro. Chi ce l'ha, di solito, se lo tiene stretto.

La storia del paese dove vivo

Davanti a me, una linea curva di tre verdi collinette, e un'altra dietro più aspra e irregolare: sono le modeste montagne che appartengono ad ogni mio risveglio la mattina. Mentre rimiravo sereno il paesaggio, mi domandavo perchè, tra tutte e tre, il paesello fosse sorto proprio sulla collinetta centrale. Né la prima, né l'ultima, ma proprio quella di mezzo.
Sulla punta, simile a un dente cariato, si ravvedono un paio di torri del castello che attualmente ospita il municipio; tutt'intorno filari di casette chiare che circondano il municipio come concentrici, diseguali girotondi.
Per tracciare le ragioni di questa scelta, bisogna risalire parecchio indietro con la storia, esattamente quando la carne si amava umettarla con un intruglietto torbido ricavato dalle interiora appassite di pesce e nel Regillo si riversava il sangue necessario alla storia.
Nei pressi di quello che, in lingua ava, solevano chiamare con un nome che oggi suonerebbe come Monticello, stavano le tre colline in questione, non troppo diverse da come sono tutt'ora, forse un po' più verdi e selvatiche. Ruggiero sarebbe passato di lì secoli dopo, a combatter d'amore per un certo Brandimarte, ma nessuno ne conosce gli esiti, visto che di certe cose, nella storia, non v'è mai voce.
Tornando alla quistione che più s'addice al tema, c'era una volta veruna delle cose che conosciamo oggi, bensì un vecchio aristocratico, pomposo e rattuso, che si innamorò di una bella figliola procace, tutta sangue e latte. La volle per sé, e quella manco a dirlo ci stette. Ma ella volle tornare a vivere nella terra dove era stata corteggiata e amata, e così il signorotto fece tosto costruire una bella vigna sulla collina di mezzo, per addivenire al consiglio della graziosa pulzella.
La prima, fatale notte di matrimonio, fatto che ebbero l'ammore, l'ardore fu cotale che gli venne uno stroncamento al cuore, che la giovine per un attimo aveva quasi sperato in una virile impennata: invece era solo il rigore dell'infarto, povera pupilla. Ordunque, quella giovine donna non si perse d'animo e infilò sotto le lenzuola il garzone, lo stalliere, il cuoco e molte altre gagliarde simpatie, così che presto, fu tutto un fiorir di pupi e marmocchiume, disperso nella verzura di Monticello. Uno di questi pueri, chiamato Lieto, sarebbe diventato ben presto un brillante consigliere in un municipio romano che stava in quei dappressi, e quando - vecchietto e un po' meno rattuso del padre - gli fu chiesto di fondare una città che portasse buon vino e miele, quello si ricordò dell'antica vigna materna e disse: 

Le cose più buone verranno dal luogo che m'ha cresciuto e amato, la vigna de' miei avi. Vi sono tre colline ma è in quel prato che fui concepito ed è lì che avrà nuovamente inizio la vita.

Insomma, nel prato della collina che sta in mezzo - non la prima, non l'ultima -  la mamma di quel dignitario aveva allegramente saltato la pastinaca ed è semplicemente questa è la storia dell'origine del paese dove vivo.
Ma non cercatela sui libri, non ne troverete traccia.

Gli acciacchi del nonno

Mio nonno è quello idralcolico che con mezzo litro va avanti tutta la sera, dall'Andrea Doria fino alla guerra che mangiava le bucce di patana e gli piacevano pure, mica come oggi che tutti a lamentarci e poi, noi giovani, dormiamo sempre fino a mezzodì.
Mio nonno ha scoperto di avere una grave malattia, incurabile, intollerabile, mortale.
Invece di cambiare le abitudini di vita, ha cambiato medico.
Ora è di nuovo sano come un pesce, il cuore forte come un toro ed il diabete un filo troppo basso, che se possibile, gli ha detto il dottore, mangi un po' di zucchero di tanto in tanto.
Mica male, no?

Gli sposi cui rubarono il matrimonio

Gli sposi più belli del mondo - ogni coppia ha diritto di essere la più bella del mondo almeno una volta nella vita - hanno lasciato distrattamente il loro matrimonio da qualche parte in giro, che tanto chi vuoi che se lo rubi.
Purtroppo per loro, esiste sempre qualcuno un po' invidioso e privo di buon gusto che ha bisogno di odiare qualcun altro per non odiare sè stesso. E così, questo campione ha opportunamente pensato di rubare loro il matrimonio e portarselo via, per dissezionarlo e guadagnarci qualche spicciolo, magari rivendendo i ricordi più preziosi o sperando di trovarvi la mappa del tesoro dentro.
E' stata una piccola tragedia, per gli sposi più belli e più ingenui del mondo, ma è durata poco, forse appena il tempo che li separava dalla brutta sorpresa al talamo d'amore.
Per un attimo divennero immobili al centro del mondo e, tutt'intorno a loro, una nebulosa di amici devoti e preoccupati ruotavano vorticosamente come elettroni attorno all'atomo. Là dentro riordinarono i pensieri, si arrotolarono le maniche e decisero di non darsi per vinti.
Nell'instante in cui se ne erano convinti, il mondo divenne d'improvviso clemente e molte cose accaddero contemporaneamente: la luna ammiccò, le eccezioni si fecero coccole e la solita, irragionevole ingovernabilità del mondo giocò al loro favore, per dargli una mano.
Non si può rubare al matrimonio a due come quelli. Ancora non l'hanno capito, probabilmente, ma è così che stanno le cose.

La vacca, il geko e la mia vita

Ieri pomeriggio una vacca è uscita dal chiostro della chiesa di S.Maria degli Angeli e s'è tuffata in strada; se non avessi frenato in tempo la macchina, la bestia mi avrebbe incornato il cofano. Alla sera dello stesso giorno, invece, ho scoperto un geko che cagava raccolto e contemplativo nell'angolo a Sud della mia camera da letto.

La mia vita, talvolta, somiglia sinistramente ad uno dei miei racconti.

Il testo e gli accordi di "Una delirante poesia" di Bersani

Pressoché introvabile su Internet, regalo al mondo una parte infinitesimale di conoscenza che mi è costata qualche ora di lavoro (non conoscevo affatto la canzone e ho dovuto impararla d'urgenza per una certa serenata....)
Bella, bellissima canzone.

Accordi e testo:
Una delirante poesia
Bersani

La coincidenza è logica, di trovarti qua lo sapevo già in anticipo
SOLm/MIb             //            //                                       RE      SOLm 
Avevo un numero e l’ho perso, poi ho lasciato la tua fotografia su ogni tavolo
SOLm/MIb                          //          //                             RE       SOLm
fino a che per caso un giorno ho letto un ritaglio che ti riguardava
DOm                                                     SI7/LA-SI            RE7         SOLm       

In poche parole eccomi a sorprenderti,
SOLm/MIb                SOLm/MIb
torno in qualità di vecchio scheletro
SOLm/MIb            RE        SOLm
intrappolato nella trincea, dissotterrato da una marea
DOm                                DOm/SIb          DOm/LAm
ho superato ogni ostacolo
RE                    SOLm
e sono finalmente riemerso fuori nell’ossigeno
                        MIb                 RE7    SOLm     SOLm7      DO7/SOLm

E’ un racconto inedito da vivere prima di stenderlo
FA                                DO7   
come cemento sopra le righe
SOLm                    SIb
dritte sulle pagine da capo a margine
DO                                   MIb7
sarebbe inchiostro che non si imprime più...
SOLm                                FA         MIb/SOLm
   
si è seccato ormai molti anni fa al primo capitolo
Un viaggio fermo in biglietteria fissato per scappare via
dalle barriere che si alzano
non servirebbe a niente adesso se non fosse valido
                                    MIb        RE7           SOLm

E’ un racconto inedito da leggerci negli occhi aprendoli
        FA                                        DO       
e non delimiterei un confine
SOLm                    SIb
prima di ripetere certe abitudini
DO                         MIb7       
togliamo ai gambi tuttè le spine
SOLm                        FA
   
instr.
E’ una delirante poesia in febbre leggera che ti regalo…
DOm                                    LAm/DOm        RE    SOL

Devo mettermi a pensare quale piano alternativamente avrei
    RE                    DO          SI/SOL    DO#/LA13            SOL
ma è impossibile fermare un asteroide quando è in transito
RE                    MIb/SOLm           RE/SIb                DO7

Cambi sempre titolo per non decidere, il sole intanto fatica a uscire
FA                        DO                  SOLm                                SIb
resta dietro la riunione delle nuvole raccolte in alto sul campanile
DO                         MIb7                SOLm                   MIB/SOLm DO
Cambi sempre titolo per non decidere, non metti il punto per non finire
FA                                DO                 SOLm                             SIb
mentre avanzi a piedi scalzi nel disordine, io ti avviluppo con le mie spire
DO                                     MIb7                SOLm                        FA

E auguri agli sposi.

Il sogno

Ieri notte ho sognato di dormire in un odoroso letto pieno di bucce di mela, in una camera piccola ma accogliente. Le pareti erano dipinte con fantasaie meravigliose e cangianti, talvolta simili a mondi possibili, altre volte semplicemente inafferrabili ed ovunque aleggiava una strana commistione di tempo e salsedine. Ecco perché dormivo: nessuno può restare sveglio quando si pasticcia col tempo, e poiché tutto è accaduto in sogno, ho goduto della straordinaria opportunità d'esser cosciente pur se profondamente addormentato.
C'è qualcuno con me, da sempre, e me ne ravvedo solo ora: è il caso e l'opportunità che un po' ammicca, è l'oblio dimenticato; e così nessuno saprà mai che anche io sono stato qui.
Farneticava e non potevo seguirlo, neppure un po'. Parlava di fatica e indicibili sforzi e diceva parole inventate - o sconosciute a me - che certo concretizzavano la gravosità della propria esistenza. Raccontava affannosamente, con toni quasi teatrali e spasmodici, di non so che doppia, storpia creatura in piedi su un drago che, a sua volta, poggia sul mondo alato. Gli astri, insisteva, durano per sempre ma non per noi. Lo puoi capire?, mi incalzava.
Siamo io e lui, sul drago, diceva, perché abbiamo due teste, due destini e due storie ma un corpo soltanto, mostruoso e gigantesco; come si può avere due destini e un corpo solo, avrei voluto domandargli, come fanno due ad essere uno ed avere destini separati, ma non potevo. Ero presente e cosciente, ma dormivo, e le labbra sono un fardello troppo pesante per uno che dorme.
Mi disse, tu non capisci. Io non sto chiedendoti nulla, né voglio convincerti d'alcunché. Non potrei nulla né lo potresti tu, dopotutto. Io esisto e tu non puoi comprendermi che nel sogno: non è un incredibile tormento? Quarantatrè, quarantatrè. Se io chiudo gli occhi o muoio, tu sei sveglio e vivo, ecco il nostro segreto. Ma non si può dirlo, né conoscerlo, perché a noi non è dato vedere noi stessi. Ma qualcosa è andato storto, loro lo sanno, e io l'ho svelato! Quarantatrè, Quarantatrè!

Mi sfiorò col dito e fui di nuovo me stesso, nella mia vita di sempre, nel mio letto buio e senza bucce di mela. Mi sono alzato e ho controllato che tutto fosse a posto, che non ci fossero ladri. Chissà perché, avevo la pervicace sensazione che ci fosse qualcun altro, lì con me. Ma tutto era immoto e teceva, così tornai sui miei passi, ancora profondamente inquieto.
Non potrò mai avere la prova che quel tizio esiste sul serio; ma se ho davvero compreso il suo discorso, che lui esista oppure no, non fa la benché minima differenza.
Io invece si.

L'anatema

Ti odio così tanto che ti auguro di amarmi e vivere tutto il resto della vita con me, gli disse.
E il bello è che se lo meritava davvero.