La pecora nera (favola che c'ha pure la morale)

Oggi ho voglia di parlare dell'antico e potente paese di Manduria, dove le vacche trascinavano tette tanto intrise di latte che la gente lo usava per farci li bagno perchè l'acqua costava più cara, quando si ricordava di arrivare.
Quella gente era buona e gentile, prona alla battuta e alla focaccia, entrambe ammorbidite dal loro buon vino Primitivo, che si usava pure per tingere le stoffe, tanto era abbondante e cocchino.
Ma tanta mangereccia opulenza non voleva dire che tutti ne potessero godere, tant'è che in un trullaccio cadente che pareva un semplice ammasso di pietre ammonticchiate da Dio, stava una famiglia di pastori atipici e precari.
Atipici perché un pastore senza pecora è un po' inutile e si muore pure di fame. Precari perché Peppo della rovina -così si chiamava il babbo-, non possedendone di proprie, era costretto a farsele imprestare dai mezzadri, per poi ripagarli con servizi, aratura e formaggi pecorecci. Peppo della rovina, taciturno e un po' burbero ma buono come il pane di Altamura, lavorava e lavorava, senza mai stancarsi, perché voleva comprarsi bestiame tutto suo. Riteneva che le grandi fortune stessero nei posti più impensati, e che serviva solo scovarle. Ma la moglie, donna poco comprensiva e di natura spicciola, soleva rispondergli tu sei un marito buono a nulla, la pecora nera della famiglia. Ah, avessi sposato tuo fratello, al posto tuo! Ora me ne starei a Policoro a fare i bagni. Ma Peppo non si scoraggiava, e portava a casa ogni giorno un tozzo di pane, due pomodori secchi e qualche oliva, così da sfarmare sua moglie, o tapparle la bocca per non sentirla più.
Ora, era successo un giorno che un signorotto dai facili entusiasmi avesse infine e dopo immani attese maritato la figlioletta Enzina, la quale, benemerita al pari d'una santa, era però racchia e baldracchia al pari d'una scolopendrona, così che quando un pretendente s'era fatto finalmente avanti, quell'uomo quasi ne ebbe un colpo.
Per la gioia d'aver messo in isposa la figlia dopo tanto penare, l'uomo era in preda ad una tale euforia da giurare di fronte l'aureola di San Cataldo che avrebbe fatto un dono al primo che il caso avesse portato sul suo uscio.
Proprio quella mattina, manco a dirlo, batteva alla porta del mezzadro l'uomo più improbabile di tutta Manduria, proprio lui, Peppo della rovina, passato di lì per chiedere un lavoro, una pecora o entrambi.
Il vecchio non si pentì affatto del voto promesso e acconsentì di buon grado acché quello, in quanto primo capitato al suo uscio, ottenesse ciò che chiedeva, qualunque cosa fosse (però, con una risatina nervosa aveva aggiunto pure di non esagerare).
Ma Peppo era uomo semplice e modesto, che mai avrebbe abusato di tanta inaspettata fortuna. Allora si volse al gregge, per scegliere l'esemplare che avrebbe dato inizio alla sua fortuna. C'erano agnellini dall'aria spaurita, vecchie capre brontolone e pecore dall'aria imbambolata che, pure se messe davanti a un ekidna mannaro sulla luna, avrebbero continuato a masticare eternamente con quell'aria rincoglionita.

D'improvviso ne indicò una. Ed il vecchio chiese e richiese conferma, interrogandosi sul serio se non fosse uno scherzo. Il pastore senza pecore, senza aggiungere altro, assentì con vigore: indicava proprio una graziosa pecorella nera che ruminava in disparte in un calanchetto. La moglie, quanto a questo, si infuriò come mai era accaduto. Un'occasione così, dopotutto, capita assai di rado, e lasciarla sfumare in modo tanto sprovveduto era un comportamento irresposanbile. Una sola pecora, e per giunta negra si lagnava la donna, e come ti aspetti di tingerla, quella lana? Sei un incapace! Perché non ho sposato tuo fratello?Anzi, sai che faccio? Me lo sposo!
Fece i bagagli, involò i risparmi, imbavagliò la figlia bamboccia, e partirono per la città, lasciando il poveretto e la sua bestiola là, senza parole uno, e indifferente l'altra.
L'uomo allora prese la pecorella e la condusse affettuosamente a brucare un poco di erba nuova, sempre silenziosamente, nel bel tramonto che colava purpureo e pastoso come Primitivo. Si stette lì, seduto sui nodi d'un ulivo centenario, a godersi la scena virgiliana quando, ad un tratto, un bagliore catturò la sua attenzione. Doveva trattarsi d'una svista, certamente, eppure aveva avuto l'impressione di scorgere quel riflesso paglierino che brilluccicava anche nel sorriso porcino del sindaco. Si chinò, raccolse una pallocchia di cacca ancora calda che la pecorella aveva appena snocciolato, la ripulì un po' e dentro vi trovò una pepita d'oro grossa come un cecio. Con foga, la prima foga della sua vita, ne raccolse un'altra e un'altra ancora. Vi trovò pepite, lievemente più piccole, ma indubbiamente, inequivocabilmente pepite d'oro. Tanto oro, una montagna d'oro nascosta nella cacca.
Quella sera Peppo della rovina festeggiò con tanto Primitivo e fumante calzone di cipolle; e un po' ne offrì pure alla pecorella nera che aveva fatto la sua fortuna, la quale da allora non avrebbe fatto altro nella vita che mangiare e mangiare e mangiare e mangiare.
E Peppo comprese la morale della sua storia, e cioè che non tutti quelli che nascono pecora sono adatti a fare la lana. E che una pecora che non fa lana, magari, sa fare altre cose.

0 commenti...: