Il sogno

Ieri notte ho sognato di dormire in un odoroso letto pieno di bucce di mela, in una camera piccola ma accogliente. Le pareti erano dipinte con fantasaie meravigliose e cangianti, talvolta simili a mondi possibili, altre volte semplicemente inafferrabili ed ovunque aleggiava una strana commistione di tempo e salsedine. Ecco perché dormivo: nessuno può restare sveglio quando si pasticcia col tempo, e poiché tutto è accaduto in sogno, ho goduto della straordinaria opportunità d'esser cosciente pur se profondamente addormentato.
C'è qualcuno con me, da sempre, e me ne ravvedo solo ora: è il caso e l'opportunità che un po' ammicca, è l'oblio dimenticato; e così nessuno saprà mai che anche io sono stato qui.
Farneticava e non potevo seguirlo, neppure un po'. Parlava di fatica e indicibili sforzi e diceva parole inventate - o sconosciute a me - che certo concretizzavano la gravosità della propria esistenza. Raccontava affannosamente, con toni quasi teatrali e spasmodici, di non so che doppia, storpia creatura in piedi su un drago che, a sua volta, poggia sul mondo alato. Gli astri, insisteva, durano per sempre ma non per noi. Lo puoi capire?, mi incalzava.
Siamo io e lui, sul drago, diceva, perché abbiamo due teste, due destini e due storie ma un corpo soltanto, mostruoso e gigantesco; come si può avere due destini e un corpo solo, avrei voluto domandargli, come fanno due ad essere uno ed avere destini separati, ma non potevo. Ero presente e cosciente, ma dormivo, e le labbra sono un fardello troppo pesante per uno che dorme.
Mi disse, tu non capisci. Io non sto chiedendoti nulla, né voglio convincerti d'alcunché. Non potrei nulla né lo potresti tu, dopotutto. Io esisto e tu non puoi comprendermi che nel sogno: non è un incredibile tormento? Quarantatrè, quarantatrè. Se io chiudo gli occhi o muoio, tu sei sveglio e vivo, ecco il nostro segreto. Ma non si può dirlo, né conoscerlo, perché a noi non è dato vedere noi stessi. Ma qualcosa è andato storto, loro lo sanno, e io l'ho svelato! Quarantatrè, Quarantatrè!

Mi sfiorò col dito e fui di nuovo me stesso, nella mia vita di sempre, nel mio letto buio e senza bucce di mela. Mi sono alzato e ho controllato che tutto fosse a posto, che non ci fossero ladri. Chissà perché, avevo la pervicace sensazione che ci fosse qualcun altro, lì con me. Ma tutto era immoto e teceva, così tornai sui miei passi, ancora profondamente inquieto.
Non potrò mai avere la prova che quel tizio esiste sul serio; ma se ho davvero compreso il suo discorso, che lui esista oppure no, non fa la benché minima differenza.
Io invece si.

3 commenti...:

Anonimo ha detto...

Lo dico sempre che la sera bisogna mangiare leggeri...
Buon giorno, aW!
G.

Eliduin ha detto...

Io, invece, sono già tre notti, non di fila, eh!, che sogno un vecchio compagno di liceo....
Ora, quasi quasi, gli scrivo....

aWilito ha detto...

Massì, Eliduin, al massimo ci scappa un caffè e due chiacchiere ;)

aW