La leggenda di Afandù

Al tempo in cui Diogene faceva scolpire il consiglio del suo maestro sulle pietre alle porte di Enoanda, nessuno, o pochi più, era a conoscenza del significato del motto vivi nell'oscurità. Con ciò si voleva intendere di rifuggire la celebrità, la gloria e l'abbraccio della folla, perché foriere di infelicità. Non era uno sprone all'inedia, ma piuttosto una esortazione ad agire per sé stessi, più che per gli altri.
Un tale Aezio, il quale dimorava non lontano dal luogo che diede i natali alla lussuriosa Afrodite e che si trovava in Licia per commerciare vino, rimase tanto colpito da tali parole che salpò per l'isola di Rodi dove, travisando completamente il senso della sentenza, fondò un piccolo, graziosissimo villaggio di pescatori che chiamò Afandù, ovvero che non si vede. Ciò dipende dal fatto che mura di alte montagne lo nascondevano alla vista di qualunque avventore che non lo guardasse dalla sua stessa baia, o sapesse come arrivarci.
Lì visse il resto della sua vita tra lussi e agi invidiabili, donne bellissime e ori, gozzovigliando - nascosto e senza affanni- assieme ad amici e conoscenti. Riteneva così, erroneamente, d'aver adempiuto al condivisibile precetto filosifoco di cui, piuttosto, non aveva affatto conoscenza.

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