Il tassello Ravensburger o viaggio d'un'idea

In tre minuti netti, ieri sera, ho rubato un nuovo tassello del mosaico Ravensburger che sembra frammentare eppure tenere miracolosamente assieme questo assurdo paese. Tre illuminanti minuti sono bastati, perché quando qualcuno ha qualcosa di intelligente da dire, ci si mette davvero poco: il messaggio è compatto, microingegnerizzato e tagliente come una supposta con gli alettoni e motore turbojet. Colpisce e non fallisce, insomma.

Certo, ho dovuto praticare pur sempre dei piccoli adattamenti e dare un paio di limate, per incastonarla nella mia coscienza, ma ha trovato posto e germogliato praticamente da sola: io avevo solo preparato il terreno. L'idea in sé, di cui mi guardo bene dal parlare, non è importante ora perché mi preme dire dell'altro.
Prima di essere il mio personale tassello Ravensburger, infatti, quell'idea era una pallina di massa per la pizza morbida e grossa, a decupla lievitazione, che ha lasciato montagne di farina ovunque, tanto sull'educazione dei figli quanto su questioni futili come il palinsesto televisivo, ossessione e preoccupazione di chi coi figli non ci passa tutto questo tempo.
Ma prima di trasfigurarsi in quella nuova forma, l'idea era un libro, una bibbia, una specie di grande verità appartenuta a qualcun altro lontano che non riesco neppure a immaginare. So solo che, da principio, non pareva molto convincente, ma dopo impasti e rimpasti ha in effetti dimostrato la propria validità, ed ha intrapreso il lungo percorso che l'ha portata a me.
Ed ogni mezzo che aiuti le idee a viaggiare viene vessato da chi, nella critica, vede un attacco diretto alla propria esistenza, ma non è questo il vero problema.
Il vero problema è che a molti va semplicemente bene così.

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