Domenica: maelström domestico e morte dell'abete

La Casa che muta oggi è stata scorretta, molto scorretta. Anzi, una emerita stronza.
Uno di solito pensa che la Domenica ci si riposi. Lo pensa il panettiere, lo pensa il prete - in realtà fa lo sponsor alla vacanza, perché lui lavora - tutti lo pensano, tranne chi abita la Casa che muta.
Invece di riposare, mi tocca starle dietro come a un bambino col pannolino pieno. Poichè è impossibile che due sole persone producano tanta quantità di sporco è evidente che la casa ci mette del suo. Un po' perché è assertiva e desidera sottolineare la propria autorità, un po' perché non abbiamo mai avuto il tempo di ammansirla sul serio. E poi l'amiamo, davvero, ma oggi ha davvero esagerato.
Tutto è iniziato col lavandino. Più io lo scongiuravo di mandare giù e più lui faceva i capricci e si sporcava e sputacchiava. Allora gli ho fatto il solletico sotto al lavello, che so io come prendere certi discoli. Ma s'era impuntanto: voleva averla vinta lui pure. Diversi e vani tentativi dopo, decido per le maniere forti. Ho miniaturizzato un sottomarino e ci ho schiaffato dentro una ciurma esperta - dodici mensilità anticipate e buoni pasto- ma la scienziata russa e il comandante si sono innamorati prima dell'ingorgo e, come si conviene in questi casi, hanno deviato per il Mar delle Antille e mi hanno lasciato  lì come un idiota. Tutte uguali, le scienziate russe.
Ma il colmo è stato un altro. Mentre con una mano strozzavo le tubature del lavello per costringerlo a inghiottire, con l'altra mi toccava pure tenere i rami all'abete moribondo.
Urge una spiegazione.
In terrazzo ho - anzi avevo, ora vi spiego - un abete risalente al Natale '86 e da allor in fin di vita. Il poverino sembrava sempre là là per schiattare. Moscio e sbilenco, aveva aghi radi e giallastri sopra; sotto niente.
Invece di morire dignitosamente, però, lui perdeva gli aghi. Una montagna di aghi. Continuamente.
E così per mesi, slavine di aghi di pino hanno inondato il terrazzo e nulla potevo, se non pulire e pregare.
Che guarisse o crepasse del tutto, non lo so più neppure io. E quando decide di tornare al paradiso degli abeti (sponsored by Ikea)? Il giorno del lavello otturato e della palude fetente.
Già, perché una volta rimosso il cadavere arboreo, mi ritrovavo tutti gli ultimi aghi di pino - nessuno escluso - in metà terrazzo mentre l'altra metà era coperta da una fanghiglia melmosa ristagnante e fetida di aghi marci. Sulla superficie maleodorante dell'acqua i miasmi vagavano come spiriti senza dimora, precari pure loro, poveretti.
Insomma, intanto che cercavo di domare gli eventi, il pentolone dell'acqua era finalmente giunto a bollore così, senza alcuna pietà, la verso tutta nel lavello e poi giù di sturalavandini.
Mi sono scottato con gli schizzi e ho provato disgusto per ciò che ho visto uscire: resti del sugo di ieri, piccoli lembi di pelle dei peperoni dell'altro giorno e persino i sandali consunti del precedente padrone di casa, taglia 42.
E intanto l'abete invocava il mio perdono e più piangeva e più perdeva aghi e più perdeva aghi e meno lo perdonavo.
In un ultimo, esasperato, vorticoso risucchio del poderoso sturalavandini finalmente l'ingorgo si sgorga ed un maelström ciclopico per poco non risucchia pure me e lo sturalavandini.
A pezzi, coperto di bottarga di scarico e gocciolante cose inenarrabili, ho assistito al trionfo della vita - la linfa che passa nuovamente e con vigore nelle tubature - e alla mestizia della morte che fino all'ultimo mi riempie di aghi d'abete.
Oggi è stata un disastro.
E domani? Per fortuna che domani lavoro.

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