La convocazione formale

"Mi hai mandato a chiamare?"
"Prego, prego. Si sieda. Scusi il disordine. Sà, questo è un po' un ufficio, un po' un magazzino. Ci teniamo tutto quello che è servito o aspetta di servire sul palcoscenico."
Mi giro attorno, mentre cerco una sedia in mezzo alle montagne di ciarpame.
Noto che gettato in angolo, su di un mucchio di stracci, sta una specie di fermacarte di pietra scura, forse ardesia, delle dimensioni d'un pugno e dalla foggia di cuore. Poco più in là pile di partiture ingiallite, dall'aria piuttosto patita ma gloriosa, pendono minacciando di cadere. Nel caos di cappelli e cocci, boa e scimitarre, mi cade l'occhio su un consunto passaporto. Mi pare di scorgerne il nome: Luigi Tolliver.
Prima di sedermi, son costretto a spostare un bel turbante da genio della lampada con tanto di smeraldo incastonato.
"Allora?" faccio sbrigativo.
Il presentatore tv mi guarda rapace. E' me stesso si, ma in un certo qual modo non è me. Tamburella con le dita distrattamente, con un sorrisetto malandrino stampigliato sul volto, lo stuardo fisso in un punto indefinito alle mie spalle. Mi fa quasi paura.
Poi d'improvviso si scuote e torna a pensieri più terreni.
"Come allora, come allora," ridacchia, "che, forse non ce ne siamo accorti?"
"Senta, non ho tempo da perdere. Che vuole da me?"
"Non mi dica che non se n'è ravveduto! Tutti uguali, voi scrittori", mi fa vanesio.
"Venga qua, piutosto" e prende a scartabellare furiosamente un registro polveroso. "Guardi".
Punta coll'indice In fondo ad una successione numerica. Leggo il numero 1011. Forse ho capito.
Gli occhi dell'altro brillano di gioia sincera.
" Lo vede? Siamo già stati letti mille volte! Siamo una compagnia solida e apprezzata! Si fidi di me, in un modo o nell'altro ce la faremo!" Mi fa emozionato e sognante, per poi aggiungere ammiccando ed insinuando, "e poi non dimentichiamo il progetto segreto al quale stiamo lavorando..."
Non credo neppure un po' alle sue chiacchiere, e no ho ben donde, visto che ultimamente tutto va male come al solito.
Eppure, e ne ignoro le ragioni, sono certo di sentire di nuovo -e dopo tanto- il flebile ma inconfondibile scoppiettio d'un fuocherello dietro le costole. E' giovane e debole, purtuttavia c'è.
Per questa volta voglio essere in pace con me stesso e cedere al peccato della speranza.

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