La vecchia dolente

La vecchia dolente è piuttosto afflita, e si lagna contrita degli acciacchi. Dice che la vista l'abbandona, mentre cerca ansiosa il numero del dottore che vorrebbe chiamare per illustrargli i suoi problemi di digestione. Così, mentre torna zoppicando dal farmacista con in mano la vitamina A, che fa bene agli occhi, e con l'amaro di Sant'Anfilochio, che scioglie pure i sassi e stappa il resto, scuote la testa e alza gli occhi a Dio per le ginocchia che scricchiolano come travi di chiglia.
Ma già sa che, una volta arrivata a casa, l'artrosi l'affligerrà astiosa; così, appena ne avrà il tempo, si ripromette di lagnarsi dei tappi troppo stretti e troppo piccoli, con cui sigillano vitamine e amari.
Ed ha già ottantasette anni suonati, l'immutabile vecchia dolente.

La ragazzina dal mento lungo come uno stecco

La ragazzina dal mento lungo come uno stecco si struggeva e piangeva, perché l'uomo amato vieppiù era già promesso ad un'altra pulzella, bella ma dall'anima scialba.

Avrebbe voluto rubarlo e conquistarlo, portarglielo via per sempre, tenerlo per sé. Anche da amante, avrebbe amato d'averlo, pur di averlo per sé.
Ma c'era un inghippo, un imbroglio non sciolto, un broglio del destino beffardo. Se lui avesse tradito il suo giuramento d'amore, avrebbe mostrato animo infido e fedifrago cuore, e mai la ragazzina dal mento lungo come uno stecco l'avrebbe amato e considerato.
Sconsiderato se lui l'avesse allontanata, ma avrebbe agito come fa l'uomo tutto d'un pezzo.
Ma pazzo lui era, a non ricambiare l'ardore della ragazzina dal mento lungo come uno stecco.
Ecco perché piangeva e piangeva, rimirando un fringuello che sul mento le si era posato.

Il Pirata non convenzionale

Il pirata Roger Golarossa Buck era detto così perché si narrava che, davanti a lui, nessuna testa restasse attaccata al collo per più di sette secondi. Sette come i mari che avrebbe razziato e insanguinato al comando della temibile Bloody Squid.
Si vociferava che la stessa testa di Christopher Moody fosse stata sparata da uno dei suoi trentacinque cannoni, prima di venire infilzato da venti lame ed essere gettato in pasto ai pescecani.
Io che però ho facoltà di frugare negli eventi, voglio aggiungere qualche scomoda verità, alla leggenda.
Innanzitutto Roger Buck era un gran millantatore, e tutta la sua fama veniva dalla totale idiosincrasia verso l'apparizione pubblica. Così, sarebbe più corretto dire che i suoi nostromi erano dei folli sanguinari, e non lui, che se ne restava rintanato in cabina tutto il tempo.
Inoltre amava in gran segreto l'uncinetto, che adorava sferruzzare nelle placide notti caraibiche, quando luna e palme fanno quel concerto sul mare che chi l'ha visto, non può dimenticarlo mai.
Roger Buck non aveva neppure il pappagallo d'ordinanza, e se uno gli si avvicinava troppo, gli sparava tra gli occhi tanto piombo da tenerlo in aria sette secondi. Sette come i capitani spagnoli cui aveva staccato i testicoli per appenderli al pennone.
In verità, e per dirla proprio tutta, faceva così perché era allergico ai pappagalli. E i testicoli appesi erano volgarissime noci di almendra boliviana che il grande piratata teneva come porta fortuna.
Anzi, a dirla tutta ma proprio tutta, Roger Golarossa Buck voleva studiare il clavicembalo. Altro che pirateria.

aWilito a Enzimi

Alex di Wikio mi ha chiesto di presentare il mio Blog, motivo per cui Sabato 1 Dicembre, alle 19:30, sarò ad Enzimi (ex mattatoio di Testaccio).
Devo darlo io, l'annuncio, perché il presentatore tv sono due giorni che festeggia non so dove, non so con chi e non si presenta in Teatro. Per fortuna che alla baracca ci penso io...

Il professore d'Italiano

Il professore d'Italiano, dal naso adunco e tuttavia considerato uomo di fascino da molte sue alunne, quella mattina era nervoso. Avrebbe dovuto chiedere scusa. E per la prima volta in vita sua, gli pareva, le scuse erano davvero sentite ed oneste, senza calcoli meschini, scopi da raggiungere o apparenze da salvaguardare. Per la prima volta avvertì una indicibile dignità nell'ammissione del proprio errore.
Ciò lo rendeva peggiore e migliore al contempo e, finalmente, era in pace con se stesso anche nel difetto e nella manchevolezza.
Non agiva a causa d'una facile indulgenza; era onestà e correttezza. E amore vibrante verso la propria vita.
E ciò fa tutta la differenza del mondo.

L'Alfabeto Arggat

L'alfabeto Arggat consta di soli 3 simboli e ben trentatrè segni di interpunzione. I simboli, ovviamente, a seconda della disposizione -che segue sempre logiche immutabili-, possono riprodurre diversi fonemi, cioè suoni distintivi della lingua Arggat. Curiosamente, però, in questa lingua anche la lunghezza della pausa è significativa, e ciò forse spiega l'avversione che serbavano tali popoli per la scrittura, di cui si servivano solo per le cerimonie ed i testamenti illustri.
Ciò fa ipotizzare che, forse, alcune lingue siano più prone ad essere trascritte di altre o che, addirittura, la scrittura non rappresenti affatto un quid melioris per qualunque civiltà ritenuta superiore.
Le nefaste conseguenze di queste conclusioni sono facilmente intuibili per chiunque.

Il tragico destino del Nano dalle grandi orecchie.

Questo nano di cui voglio parlare lo si riconosce per le orecchie, che sono grosse e sottili, vagamente pendule. Se tira vento, caracolla all'indietro. Se c'è il sole, gli si fa la condensa che cola, goccia dopo goccia, dai lobi. Una volta, che era venuto a piovere ed era senza ombrello, si rimboccò le orecchie sopra la testa e tirò dritto nonostante le intemperie. Ma non è di queste sciocchezze, che devo riferire. Questo nano era stato buono per tutta la vita, ecco ciò che conta. Non aveva mai fatto del male a nessuno, questo si che conta. Si faceva problemi pure a prendere gli antibiotici, perché aveva pena per quei poveri batteri che avranno diritto pure loro d'esistere, diobuono, e quindi mi tengo l'influenza e tantisalutialè. Come è noto, però, nessuno è infallibile, neppure un nano. E così, dopo due settimane di lavoro ininterrotto, per dimenticare la fatica e per ricordarsi i motivi per cui si vive, ieri notte si è ubriacato come si conviene. E con la macchina ha fatto un bel danno. Niente morti né feriti, per fortuna. Ma tanta, tanta amarezza. Poichè mi appartiene, perché io l'ho immaginato e desiderato, e visto che mi sento un po' responsabile anch'io ad averlo creato tanto sfortunato, nel mio piccolo, ho pensato di aiutarlo. Troppo buono e insipido per essere il personaggio d'un mio racconto, tuttavia è a mio insindacabile giudizio meritevole di compassione e amicizia, ecco perché intendo salvarlo. L'incidente stradale che ha provocato, infatti, ha prodotto parecchi danni: un lampione piegato, un muretto sbriciolato e la vetrina del fioraio completamente infranta. Il fioraio era dapprima furente, anzi no incazzato proprio, per la vetrina, ma una volta fatto chiamare il fabbro ebbe un impeto di gioia e la sua vita cambiò. Il ragazzo che avevano mandato dalla vetreria era, infatti, suo fratello, rapito dieci anni prima e di cui non s'era più avuta traccia. Eventi e coincidenze tra le più incredibili (amnesia compresa), che non posso dire qui perché questa storia non parla di loro, l'avevano riportato tra le braccia della famiglia. E così la personale tragedia di quel nano con le orecchie troppo grandi aveva permesso a qualcuno di essere infinitamente felice e riconoscente.

Un vero peccato che per la disperazione si fosse suicidato la sera stessa del fattaccio. A volte ho come l'impressione che i miei personaggi esistano e seguano destini già decisi da qualcun altro, che di certo non sono io.

Il Peone ereditiero

In Argentina, un peone dal nome elegante di Gaspar Meréchal, viveva alle dipendenze dirette d'un mezzadro parecchio influente nei dintorni di Lujàn. Quando non era la stagione, però, lo si poteva trovare spesso sotto i portici della basilica della Virgen. La gente soleva considerarlo alla stregua d'un pazzo poiché, nonostante il discreto patrimonio derivatogli dall'eredità paterna - che, essendo privatamente menzionata in confidenze al parroco e al notaio, era ovviamente di dominio pubblico- nonostante tale arridente testamento, quello passava la vita coltivando terre non poprie e pasteggiando a pane e cipolle.
Una volta, il sindaco lo incontrò e, poiché era in trattative per un certo affaruccio che lo rendeva alquanto bendisposto, invitò l'uomo a bere un mate con lui perché quel giorno chiunque meritava del buono, continuava a ripetere.
Ovviamente la conversazione non potè che cadere sulle scelte del contadino.
Come, si domandavano tutti quelli che lo conoscevano, come poteva essere che qualcuno comprasse gallette con le tasche piene dei soldi per il pane, proprio non potevano spiegarselo.
L'uomo allora rispose le cose belle non si dovrebbero mai possedere. Io pettino il grano, faccio lievitare la terra fino a che diventa come sostanziosi grani di zucchero scuro, innaffio col sudore e prego Dio di indorare i semi. Io non ho bisogno di possedere ciò che amo. E tu?
Alla sera il sindaco tornò a casa meno felice, ma soprattutto vagamente turbato. Concluse comunque quel suo affaruccio, però.

La Rocca del Gigante

La Rocca del Gigante era anche conosciuta da quel volgo come l'uomo che caga poiché se è vero che si può scorgere la figura d'un uomo tra le rocce, d'altra parte non si può che convenire sulla stranezza della posizione che conserva, la quale, per l'appunto, si direbbe a ginocchia piegate. Tutti ignoravano, però, che tale creatura era viva e vegeta, seppure in un modo diverso. La vita del gigante, infatti, si diluiva nei millenni, così che la fondazione e il declino d'una città duravano, ai suoi occhi di granito, qualcosa di paragonabile al battito d'ali di una mosca. O poco più.
La terra era, per lui, tutt'altro che solida, era ribollente e morbida come gelatina, mentre il cielo gli appariva miracolosamente splendente di millenni di giorni, segnato da anelli di luce creati dalle fasi solari e tempestato delle stelle più remote la cui esistenza la scienza umana osava a malapena supporre.
E comunque i giganti non cacano. Stava solo mettendosi a sedere.

La ragazza eternamente felice e contenta

Una volta, la ragazza eternamente felice e contenta si contemplò sopra uno specchio. Per la prima volta provò la tristezza, causata dal  fatto che non era mai riuscita ad essere infelice.
Ma questo la rese di nuovo contenta.

Un giorno da leone

Quest'uomo reale soleva ripetere, non senza un arrogante e pomposo orgoglio, meglio vivere un giorno da leone che cento da pecora. E infatti è morto giovane, sperperando denari che non possedeva, consumando il cuore che batteva a ritmo doppio, e lasciando tutto irrisolto e insoddisfatto. Per sé e per chi restava.
Non dico da pecora o da leone, ma un giorno da gatto o da orsetto lavatore, proprio non andava bene?

Il piccolo uomo col suo paradosso

Un piccolo uomo diceva stamane, sbucciando la frutta: Creare è la cosa più difficile al mondo. Persino Dio, che è Dio, ci ha messo un infinità di notti e pensieri. E a quanti dicono che le idee non si creano, che al massimo si riciclano, gli dai un sonoro calcio nel di dietro, con decenza parlando, che se lo ricordano per sempre. Io, ad esempio, ho inventato me stesso, la mia piccola casa colla porta antica, Pony il mio gatto un po' sdegnoso, e le mele sempre troppo acerbe che colgo da un alberello in giardino.
Ma io non
esisto, perché sono solo un racconto. E quindi, da dove posso pescare riflessi di realtà, se nella realtà non vivo?
Il paradosso della mia esistenza si stempera tutto nella mia consapevolezza di me. Mi domando però, e con ardente curiosità, mi domando: sono io una prova sufficiente alla mia esistenza?
Questo mi domandava quell'uomo mentre raccoglieva le bucce verdognole d'una mela.

il S. Crasso

Io non ho mai creduto che al S.Crasso la gente guarisse. Lì si può stare solo male. E sebbene la malattia sia il presupposto per la guarigione, come può chiamarsi medico chi ti tiene come un uovo sodo, cotto, ricotto, stracotto, come un uovo. Dicono di curare lo spirito, ma io non l'ho mai creduto. Cocaina a fiumi, ci gira là dentro, altroché. E poi fanno pure la pubblicità, e malati - ma anche meno malati - corrono. Imbottiscono di  foglie puntute e miracolose, di bianca forfora d'angeli, di bambù oblunghi, e nessuno contesta, nessuno chiede un'aspirina, nessuno pretende del cortisone. E chi dorme, chi ride, chi guarda nel vuoto, chi sogna. Ho visto suore cacciare da sotto al velo bottiglie di rum agricolo della Martinica come i prestigiatori fanno coi conigli, un sorriso sornione stampigliato di sopra, ed un pubblico trepidante di bavetta di sotto.
Curano lo spirito, dicono, non il corpo. Dimentichi che gli uomini sono anche e soprattutto corpo.
Non ho mai cercato di smontare quella finzione che chiamano casa di riposo ed acquiescenza, casa chiusa o cure del popolo, o la chiamassero come cazzo vogliono. Preferisco stare qui coi miei debiti ed i miei acciacchi. Sono cenerini e magri pure loro, ma almeno sono solo miei.
E che Stato è, mi domando, lo Stato che già all'altare ti lascia come unica eredità malattia e povertà, come la moglie più infida ed infedele?
Non dico che S. Crasso sia un errore, o sia sbagliato per tutti. C'è chi ne ha bisogno per davvero, laggiù.
Ma preferisco non prendere parte, a quella follia sanitaria; ecco perché sto qui a lagnarmi di quel che mi tengo, senza pienezza, senza felicità vacua, ma neppure eterna. E guardo con severità, e un po' d'invidia quelle uova sode, cotte, ricotte e stracotte.

Quant'è bella e non lo sa...



L'uomo di carta e parole

Era fatto solo di carta e parole, eppure un giorno osò cimentarsi con la realtà, povero folle.
Fu allora che si accorse della molteplicità delle cose del Mondo; non aveva scelta, qualsiasi la decisione, amari pensieri l’avrebbero tormentato a vita; stasi o azione, si trovò di fronte a scelte diverse che conducevano a mali assai simili.
E fu anche allora che smise d’essere una bugia e divenne egli stesso realtà.

L'ellissi della raccomandazione

Il ragazzo dal cuore reso ipertrofico a causa dello sforzo della volontà, aveva sgambettato fiducioso al colloquio con l'uomo che doveva raccomandarlo ed assicurargli l'avvenire perché in questo paese, gli avevano riferito, non si va da nessuna parte, senza una raccomandazione.
Trovò piuttosto sconcertante che questi gl'avesse mestamente confessato non facciamoci illusioni: non si entra dove vorresti tu, senza una raccomandazione.

Circa l'umana conoscenza

Bada a te, perché non tutte le cose è dato conoscere agli uomini, fece pomposo e solenne.
E che mi frega, tanto c'è Google, fu la risposta impertinente.