L'uomo parassita

L'uomo parassita passava i giorni dispari della propria esistenza a lamentarsi di quanto la vita fosse monotona.
Nei pari, invece, si lamentava di quanto tutto cambiasse eccessivamente,senza continuità né ragionevole premeditazione, introducendo morte e dolore così, a caso.
L'uomo parassita è convinto di suggere dal mondo la sua sostanza e di lasciarsi cullare dalle onde del caso.
Invece è innocente né più, né meno di ognuno di noi.

Una storia assolutamente convenzionale

Quest'uomo di cui voglio parlare è giovane ed ha una vita tanto convenzionale. Per dirne una, ha una bella moglie come non ce ne sono più, che non teme di indossare l'abito lungo e di essere meravigliosa dopo aver passato il pomeriggio a impastare la frolla per la crostata. Fa anche una marmellata mica male, la signorina.
Quest'uomo ha un cane grosso e peloso, cogli occhi languidi e queruli, e la coda tanto poderosa che ci si potrebbe spazzare per terra. Ed è una bestia tanto fedele, premurosa ed obbediente. Questa sera, non appena ha annusato l'arrivo del padrone dopo il lavoro, gli ha tirato fuori le pantofole e le ha predisposte sotto la poltrona; sul bracciolo destro ha deposto il giornale di oggi, mentre sul sinistro ha piegato il plaid, che fa sempre tanto casa di campagna.
I terranova sono così, hanno una visione un po' cottage, edera e brughiera delle case. Anche quando le case in questione stanno in pieno centro in piena provincia di Milano, in piena pianura Padana.
Ma è bellina, la casa di quest'uomo. Piccola, invero, ma graziosissima. Le tende sono viola e leggere come ali di fata, e guarda la cucina, sembra la riproduzione in grande d'una casa di bambole. Ninnoli e cazzabubboli di vetro e d'ottone poggiano su ogni superificie libera, pentole di rame dall'aria centenaria -e immacolata- giacciono allineate come un plotone di rappresentanza, le armature lucide e le lance spuntate. E quella pendola, regalo della nonna, che ogni giorno accumula sei minuti di ritardo e a mezzogiorno fa un casino come di campane a festa, lo jodel di Dio.
Quello di quest'uomo non è un futuro di re o cantante, né di luminare o eroe della patria, però è un bel futuro, che molti avrebbero gola di toccare, perché fatto di tante piccole cose, una dietro l'altra, come le ciliege o i torroncini, che due mani per mangiarne non bastano a nessuno. E così sono passati tanti anni e ancora si avvertono il profumo di crostata e lo sferragliare della macchina da cucire, mentre tutto s'è fatto più rarefatto ed ogni gioia raddoppiata, tra grida di nipoti, regali a natale e tanti, tantissimi anniversari e compleanni.
Quest'uomo, però, o per meglio dire la sua storia, non esiste. E forse, avrebbe potuto anche esistere, ma da ieri - e per suo unico atto, violenza, potere - è sfumata semplicemente via. Il mondo era una mano e lui d'improvviso un fiotto di fumo, impossibile da trattenere. Nella cronica impossibilità di fare alcunché di utile per il mondo, mi abbandono al mio diletto: l'invenzione fine a se stessa di personaggi che per qualche motivo non esistono e mai esisteranno.
Non è molto e non guarirà le coscienze.
Ma ora che è mio, ho il potere di regalargli la vecchiaia serena che non avrà mai.

Non è un peccato?

Ero presente: ne sia conferma la parola mia. Ha giurato che m'avrebbe amato, protetto, voluto. Ha piegato le leggi del tempo e dello spazio, vinto la gravità e deformato il destino per guarirmi dall'ansia e dal malumore, per fermare la natura, la vecchiaia, la strana mutevolezza del mondo. E' forse poco?
Per me ha scardinato e appesantito le leggi che cingono d'assedio la gioventù e la stritolano in morse della forma e potenza dei vortici, ha promesso l'eternità e la speranza, ha spergiudicato finanche Dio, pur di rendermi impermeabile ai giochi della fisica e dei numeri che scorrono in un senso.
Ha dato prova di convinzioni grandi come la somma di tutte le verità e perentorie come una cosa rotta, che è rotta per sempre, eppure dolci e desiderabili, benevole, ma inconcepibilmente deliziose ed indecifrabili per chiunque non l'abbia mai provate. Anche questo è troppo poco?
Per me ha spezzato le catene dell'uso e dell'abitudine, vincendo con coraggio gioie neglette a chi non le sa, ha rubato sogni allo stesso Morfeo, per farmene dono. Ha sgangherato quel poco di ordine che serviva all'universo per dire di funzionare, pur di vedermi felice nell'unico modo che conosceva.
E dopo tutto questo, ditemi, non è un peccato, non è un affronto, non è una invereconda imperfezione il fatto che per molti di voi non esista neppure?