Una casa normale

Una casa in cui un pennino USB sta sulla lavatrice assieme al tagliacapelli, il pettine del tagliacapelli sta sul divano, viti e stopper giacciono sul nuovissimo costosissimo candidissimo copriletto mentre le forbicine stanno nascoste nella libreria in salotto non è una casa normale.

Ed il bello è che io, con tutto questo casino, non c'entro niente.

Per strada, in Italia

Che tempo balordo!

Ah, non me ne parli. Appena smette il vento, comincia a piovere.
Lasci fare, è tutta colpa del buco dell'ozono. A proposito, ma che fine ha fatto? Fino a qualche anno fa ci stavamo estinguendo appresso alle foche monache, se non erro.
Eh, non me ne parli. C'ho il cane a pelo lungo, povera bestia, che soffre come un cane.
Ah ah, ha ragione! Io il cane lo vorrei, ma ci vuole il giardino...
Lasci fare, se lo prenda. E' come un amico, e poi i gatti si affezionano alla casa, mica al padrone.
No, ma sa cos'è? Non compro il cane per non dover vederlo morire.
Ha ragione, io infatti, fosse per me, non mi sarei fatta neppure i nonni e la zia Adele. Povera zia Adele.
Ah, le zie di una volta non le fanno più. Ha notato?
Glielo dico io: le donne di una volta non se ne vedono mica. Un tempo si lavoravano i campi, si mangiava più sano.
Eh, una volta la verdura aveva tutta un altro sapore, è proprio vero.
Ma mi dica, il lavoro come va?
Mica tanto bene, sa? Ma non parlo per mio marito, quello è statale, e chi glielo leva il lavoro agli statali? Ma l'Armando, poverino; studia, studia e non combina niente.
Signora mia, non esiste più il lavoro fisso. Ma suo figlio è bravo e tiene la voglia di lavorare, e addiopiacendo un posto alle Poste prima o poi lo trova.
Fortunata lei che li ha tutti fuori di casa: i figli son problemi, come dice l'adagio. In casa non c'è più dialogo e il parquet è bello ma troppo delicato.
Si, perché al cuor non si comanda e Sanremo era meglio l'anno scorso.
Mi toglie la parole di bocca, signora mia. Tantopiù che il cioccolato fa venire i brufoli. Meno male che la cinquecento la parcheggi dove vuoi, se no il piede deve respirare.
Eh, sì. E poi il servizio militare ti forma, mica pizza e fichi.
Bè, signora mia. Tante buone cose e mi saluti suo marito. Arrivederci.
Auguri passati e tante buone cose a casa.

Il bambino senza occhi

Il bambino senza occhi viveva in una casetta piena d'amore e coccole, personale ed irriverente risposta di mamma e papà ad un certo destino vigliacco.

Per il bambino senza cuore, invece, non fa alcuna differenza il posto in cui vive e almanacca: ha già sgozzato sia la mamma che il papà.

Mezzo pieno, mezzo vuoto

Non ci posso fare niente, sono un inguaribile romantico, un ottimista carbonaro, un volemose-benista camuffato da cinico e uno spielbergiano compulsivo che, di sottecchi, crede fortemente di poter cambiare la gente parlandole, o di poter moderare gli eccessi del mondo con la semplice disapprovazione.

Sì, il vaso di merda in cui sguazziamo lo vedo, ma lo vedo mezzo pieno. Va bene?

Dall'alba al tramonto

Ha perso il lavoro, l'amore e persino la dignità, tutto nell'arco di tempo che separa l'alba dal tramonto, ed è diventata di pietra per sempre.

Chiunque altro al suo posto avrebbe desiderato morire, o dissolvere quel ricordo nella dimenticanza. Lei, invece, fu grata al destino per la pienezza perfetta di quell'unico giorno.

Il Gargallo

Il Gargallo spesso riflette su se stesso, chiedendosi perché nessuno abbia trovato il tempo, la voglia e l'ispirazione di crearne la storia ed il destino, ritenendosi sufficientemente interessante da essere soggetto - o almeno comparsa - d'una storia qualunque.
In realtà, non è che ce l'abbiano con lui: è solo che una infinità di storie aspettano di essere scritte, e il Gargallo è tra questi.
Poiché non ne ho il tempo, regalo il personaggio: non c'è mica un autore che vuole scriverne?

Per costruire un piccolo mondo

Se per costruire un piccolo mondo, hai bisogno di scorticare l'anima, sollevare tempesta e abbandonarti allo sdilinquimento, allora lascia perdere, lasciaci stare. Non c'è spazio per tanto sforzo e così poca sostanza, e non è dato a noi mangiare la polvere in attesa dell'eternità.

Ma è dato a te di forgiare il presente per conto della divinità.

La piccola inconcludente

La piccola inconcludente siede assorta sul proprio diario. Vorrebbe scrivere qualcosa di meraviglioso e arcano, anzi no, misterioso e mozzafiato, no vabbè, meglio qualcosa di più smielato tipo le storielle che scrivono su quelle riviste, ma non le viene in mente niente, se non che deve ancora dare da mangiare al gatto, fare quella telefonata di scuse e terminare di spennellare il quadretto regalo per Susanna.

Qualcosa, però, non va: avverte il peso soverchio del dovere, ma non riesce a trovare un modo possibile per risolverlo; brucia letteralmente d'un desiderio di scrivere, ma non vede al di là della penna. Fà spallucce, impugna il telecomando e lascia scorrere immagini e parole nella testa.
La scriverà un'altra volta, quella benedetta pagina.

La mia tendinite

La mia tendinite non è come le altre.

Alla gente comune e priva di fantasia viene alle ginocchia, ai gomiti e alle spalle, magari giocando a tennis, saltando la staccionata o gettandosi dal monte Everest col paracadute e lo snowboard. A me, invece, è venuta al pollice destro. 
Sì, al pollice destro, e non pensiate (brutte malelingue) agli atti impuri che poi divento cieco, perché questa volta gli impuri non c'entrano niente.
Per carità, non è che ne voglia fare una tragedia: me la tengo e zitto (al massimo mi lagno un po', ma poco). Solo che mi viene fortemente - e solennemente - di chiedermi se avrò mai una malattia che non faccia sembrare la mia vita un'eterna sitcom ammerricana di second'ordine.


Per aprire il lucchetto

Per aprire il lucchetto che tiene al sicuro la minchia del mondo, ho dovuto scovare la chiave nascosta dalla donna balorda sulla cima del monte che fu il luogo dove una dea dei boschi era morta invano nel futile tentativo di salvare il figlio dell'uomo che aveva strappato l'occhio della settima profezia che poteva, solo dandogli una strizzatina, annientare l'intero Iperuranio Scalo e catafotterlo nel buio cosmico del water di Dio.

Ma uno spuzzolosissimo interruttore di merda non ce lo potevano proprio mettere, evvè?

Se parli, non ti mangio

Se parli non ti mangio, le ho detto. Va bene anche una parolina piccola piccola, tipo sì, no, boh.

Più di così che potevo fare? Era riottosa e cacacazza. Mi è dispiaciuto così tanto, ma che ci potevo fare? Avevo le linguine di Gragnano, il prezzemoletto a foglia piccola, profumato e insolente, l'aglietto del mi' babbo e i pomodoretti di Pachino nel caveau della banca (che in borsa, coi tempi che corrono, seguono l'andamento dei rubini).
Una cosa sola m'è dispiaciuta: che non abbiamo avuto modo di conoscerci un po' meglio; ma è stata ospite gradita, apprezzata, finanche osannata. E allora, quest'ultimo goccio di Vermentino lo dedico a te, rossa conturbante dal guscio duro e dall'anima profumata.

Un terribile mal di testa

Oggi ho un terribile mal di testa. 

Quasi quasi lancio un'OPA à la Provera e poi divido la bad company col mal di testa da quella buona che stamattina dovrebbe lavorare. Spero che i sindacati M.e. e S.t.e.s.s.o. siano d'accordo.

La famiglia Patta

La famiglia Patta è raccolta attorno la tavola, immersa nel riverbero azzurrognolo che proviene dalla televisione come un gruppo di totani sul fondo degli oceani. Stanno guardando le immagini della loro famiglia stretta attorno al tavolo, intenta a guardare la televisione.

Sembra una ripresa in tempo reale e invece, per un'insolente curvatura dello spaziotempo, sono loro stessi tra esattamente un minuto. Paolo si soffia il naso mentre nello schermo mette via il fazzoletto, la mamma taglia un triangolo di fettina guardando la sua immagine finire di deglutire, ed il papà, immoto, beve letteralmente cogli occhi ciò che vede, con una bramosia inspiegabile.
Ma è questo il motivo per cui non si alzano: hanno già visto che non lo faranno.