Strigliando la Casa che muta

La Casa che muta s'è abituata male.
Dopo un paio di settimane per me particolarmente tribolate in cui è stata totalmente lasciata a sé stessa, oggi abbiamo deciso che era tempo di darle una bella strigliata. Pelo, contropelo, vapore e brillantante.
Dopotutto, se la si lascia fare è capace di lordarsi in ogni modo possibile e qualcuno pure impossibile; diventerebbe una fogna, fosse per lei, ed il bello è che sospettiamo le piaccia.
Così, mentre frigna che l'aspirapolvere le fa il solletico ai pavimenti e che l'ammoniaca puzza, noi soffriamo due volte. Una per la fatica, l'altra per il piagnisteo.
Ora il pianoforte a coda è di nuovo fulgido monumento alla musica, e nel bagno aleggia una sottile melodia causata dalla risonanza dei sanitari col Padreterno stesso; le tende, non più soffocate dalla polvere, tornano a respirare e si gonfiano al vento come rande, il frigo, invece, profuma nuovamente di Jaracanda, frutti agrumosi e pane.
La Casa che muta è un'insopportabile scassacavoli, ma sottosotto le vogliamo un gran bene, soprattutto ora che è tutta pulita.

Le mie quattro lauree e i miei tre matrimoni

Noi simpiatici simbionti ci siamo finalmente finiti di laureare: quattrocentoventi su quattrocentoquaranta diviso quattro senza neppure una lode. Volendo, si arriverebbe a seicentoquaranta su seicentosessanta, sempre senza lode, con due lauree in astrofisica e un dottorato, che fa sempre la sua porca figura e fa tanto Margherita Hack maremma bucaiola.
Con i tre matrimoni - di cui uno, bellissimo, pochi giorni fa - che mi sono fatto, lo devo proprio ammettere: sono orgoglioso di quanto siamo bravi.

Sul lago d'Orta

Gagliardi lastricati che si tuffano nel lago, ecco cosa vedo dallo stretto balcone di quel palazzo, lastricati fatti della pietra su cui cammina la storia. In lontananza sento qualcuno ripetere Lamberto, Lamberto, Lamberto... ma fa troppo freddo per restare fuori e capirne di più.
Mentre qualche prudente raggio di luce filtra dalle finestre, mi godo il bello per il bello, tra stucchi pomposi, quadri pieni di austeri sconosciuti e un pianoforte ancora incredibilmente accordato, in un luogo dove il più insignificante dei granelli di polvere ha almeno cent'anni dietro di sè.
La realtà, d'improvviso, si scompone nei suoi elementi fondamentali e indivisibili, tutti fortemente uniti assieme e tuttavia tutti stranamente staccati tra loro, e anche io faccio parte di quella mescia.
E' una sorpresa scoprire che a volte ci troviamo a ripetere Lamberto, Lamberto anche noi, ed è ancora più sorprendente come la realtà sia in verità costituita di cose che normalmente non c'entrrebbero nulla tra loro, mai.
E' stato costruito un grande monumento al passato, in questo giorno, ed è stata fatta una promessa al futuro, più grande di noi tutti che eravamo lì. Ma anche queste due cose, purtroppo, sono spaventosamente slegate tra loro.
Ma chi ama, se ama sul serio, non stringe l'abbraccio. Piuttosto, lo allenta e lascia andare.
E allora è davvero il caso che smetta di ripeterlo, 'sto Lamberto, Lamberto, Lamberto.

Orta San Giulio, 23  novembre 2008

Le piccole cose della casa che muta

E' incredibile.
E' semplicemente incredibile. La Casa che muta ha i suoi vezzi e le sue piccole fissazioni, si sa, così ogni tanto prende iniziativa, s'allunga un po', o si fa piccola; oggi, però ha fatto molto di più.
Poiché tornavo stanco da tredici - e questo non è un racconto - tredici ore di lavoro consecutive, per rendermi più gradito il rientro m'ha voluto coccolare un po': si è fatta crescere una piccola mensola di fianco all'armadio, notoriamente lo spazio più cadavere della casa. Ora l'ho subito stipato di borse, dovesse cambiare idea, e c'è posto persino per il mio gagliardo asse da stiro in legno massello che costa più d'una cena di pesce per due.
A volte è tignosa e lunatica, lo ammetto, ma mi fa tantissima tenerezza quando la Casa che muta si prende cura di me.

Il conte rotondo e madonna imbalsamata

Il conte rotondo era detto così principalmente perché era grasso a parco, ma anche perché non arrivava mai alla conclusione dei suoi affari, anzi amava girarci attorno per almeno tre o quattromila anni. Sua moglie, detta madonna imbalsamata ma realmente nomata Alma, era invece nota per l'ineguagliata rigidità: andatura biascicata e arrugginita, da geisha sgraziata, mai una paglia fuori posto, mai una calza bucata, praticamente e perennemente impeccabile. Era un esempio di mummia perfettamente conservata di donna manager anni '50.
Madonna imbalsamata - Alma - aveva capelli un tempo certamente lisci e oggi scolpiti nella cheratina, indossa sempre un tailleurino violetto smorto con un pellicciotto di ermellino che non contribuisce certo a svecchiarla, anzi, se possibile le conferisce un aspetto ancora più polveroso e tarmato.
Non essendo i due in grado di tenere in mano una penna (se ci provano, gli si sgretolano le mani come fossero di argilla egiziana), erano costretti ad affidare controvoglia affari e contabilità ad una donna emaciata, biancherrima e scarna, che lavorava per loro. Una volta, questa donna dai capelli corvini che cadono morti a filo a piombo (e coprono un poco le occhiaie nerastre) mi disse arcigna che il suo lavoro era impegnativo e che ci voleva ben altro che il mio bonheur per portare avanti la sua baracca.
Gli risposi che io, la sua baracca e con licenza parlando, col cazzo che me la volevo portare avanti.
Oggi lei non lavora più per loro - è stata licenziata - mentre io non ho mai lavorato per loro.
Ma non sempre si è fortunati come me.

Il ragazzo perfettamente in equilibrio

La festa in cui si muoveva stanotte il ragazzo perfettamente in equilibrio era quanto di più noir e sordido avesse mai sognato: l'arrendevolezza d'una casa grande e un tempo molto bella, l'abbraccio del mobilio antico e decadente, conoscenti di conoscenti noti a qualcuno e per lo più sconosciuti, musica alta ed ipnotica, imballabile, personaggi bizzarri egocentrici e tutti sempre leopardati o tappezzati di appiccicosa pelle nera, ragazzi giovani e ragazzi parecchio meno giovani con qualche ruga di troppo, un po' di panza e il fegato passato a miglior vita che, tra i fumi di una stanza e la polvere dell'altra, si lanciavano in  brillanti interminabili conversazioni sulla loro esperienza di vita demolita che esigono sempre più trasandata e malsana.
Il ragazzo equilibrista aveva sempre ritenuto che un posto, una condizione e gente di quel tipo l'avrebbero reso diverso per sempre, che sarebbe diventato parte di quel mondo, che avrebbe finito col liberare il lupo mannaro che talvolta in passato aveva sentito dentro azzannargli le viscere.
In realtà, mai come in quel maroso di estremi si era sentito pulito, in pace con se stesso e perfettamente in equilibrio sulla propria vita; era come se le fantasie che talvolta gli si rastremano dal buio fino in testa fossero per l'appunto solo fantasie, e ne fosse finalmente cosciente.
No, non era giudizio, distacco o superiorità. Trovava irresistibili quei discorsi; adorava essere avviluppato dalla pece che copriva alcune di quelle anime, e c'era anche buona gente, buon cibo e buon vino.
Eppure, non poteva fare a meno di sentirsi una lancetta sul mezzodì o la bollicina nella livella.
Il ragazzo in equilibrio se ne meravigliò parecchio: ciò che era diventato, se l'era costruito un pezzetto alla volta ed era esattamente così che sentiva di dover essere.

aW 2.0

Oggi mi hanno intervistato su Current.tv (canale 130 di Sky) e Current.radio
Son cose.

Esperimenti di informatica ittiologica

Oggi, mentre le pulivo per il fritto di paranza, pensavo che le sogliole sono pesci incredibilmente eleganti, compatti e minimalisti. Si puliscono in un attimo, sporcano pochissimo, profumano di alghette e brezza marina, e sebbene costino un po' più care, hanno carni molto delicate e pregiate.
E poi ho pensato che se Apple facesse pesci, invece che computer, avrebbe battezzato questo modello iFish mini e tutte le sogliole avrebbero la meletta sopra.
Non me ne vogliate: è deformazione professionale.

Re Osilvio Primo

Re Osilvio Primo non era affatto contento della plancia di controllo installata nella sua camera da letto, né della ultime decisioni prese in materia di sicurezza. Trovava troppo scomodo dover alzarsi dal letto per dare un ordine, o essere costretto a urlare alla stanza accanto per farsi sentire dai presidenti di partito. Se la scienza non fosse stata tutta evidentemente schierata e di sinistra, pensava, avrebbe inventato qualcosa di utile, tipo gli elettrodi nel cervello che uno pensa un decreto e dopo dieci minuti gli eserciti sono già nelle città e nelle scuole a farlo rispettare. Si, nelle scuole, soprattutto nelle scuole, che erano oramai ridotte a covi legalizzati di sovversivi drogati e bamboccioni.
E poi, più di tutto lo infastidiva quella carcassa putrescente di democrazia eversiva, strumentalizzata e comunista che teneva nel cesso: lì, infatti, aveva schiaffato i magistrati bolscevichi e scassaballe, non sapendo dove altro metterli. Avesse potuto, li avrebbe eliminati tout court, ma poi bisognava rifare la costituzione da capo e ci aveva già messo le mani così tante volte che si era rotto le palle.
Re Osilvio Primo era uno dai modi spicci, che malsopportava le attese ingiustificate e le lungaggini immotivate. Schioccodita, scattare, eseguire! Altroché.
Tra i convincimenti di Re Osivlio Primo, infatti, c'era la pervicace sicurezza che anche solo parlare fosse un inutile spreco di tempo.
Inquietante, no?