Il canto del porcoratto

Il porcoratto è un animale discutibile, deprecabile e fetente. Simile ad un topo grasso e glabro, possiede radi e lunghissimi peli bianchi come quelli che escono dalle orecchie di certi professori d'italiano. Alligna nelle fogne, si nutre di poltiglia di fango e a molti di noi incuterebbe probabilmente uno spudorato orrore. Tuttavia, in alcuni remoti paesi del mondo è venerato come una divinità e vezzeggiato come un bambino. Si dice infatti che il suo canto, intessendo l'amore con l'aria, sia capace di placare i venti più fieri e costringa al tramonto la luna.

Secondo certe cosmogonie, avrebbe persino dato origine alla stirpe dell'albero che noi chiamiamo salice piangente. In una notte d'estate, infatti, una di quelle bestie avrebbe cantato tanto languidamente e tanto lungamente da scioglierne letteralmente le fibre nei rami. E quindi, secondo queste culture, il salice non è una pianta che patisce e geme, ma un albero che s'abbandona al piacere.

Sogni al baccalà

Stanotte ho sognato di avere un epatocarcinoma, salvo poi scoprire che - nella mia personalissima finzione, almeno - per epatocarcinoma si intendono i sedimenti di sabbia che il mare rannicchia in ammalianti dunette da qualche parte attorno alle Maldive, e non la sfiga che tutti temono. Non c'entra nulla, lo so, e l'eziologia è ridicolmente sbagliata, tuttavia sono sopravvissuto al tumore e soprattutto nella mia testa era tutto perfettamente coerente. Non so cosa ci facessero dune di sabbia nel mio fegato, ma va bene lo stesso.

Poi, non so come, mi sono ritrovato in campagna dove un cagnone peloso e goffo era riuscito, non si sa come, ad arrampicarsi su un pino per acciuffare una pica. Cade giù e invece di latrare come si conviene a quelli della sua specie, gnaula che sembra un cristiano in fin di vita. Gli vado vicino, e scopro che in bocca non ha un uccello, ma dei cracker fuori misura.
Un po' sbavati, li riporto in cucina. Poi forse li ho offerti ad alcuni parenti che odio, o ne ho mangiato io, non lo ricordo più.
Una cosa è chiara, a questo punto. Il bis di baccalà in gavetta del nonno non lo dovevo fare, ieri sera.

Il segreto di Linda

Linda aveva un segreto di quelli fatti bene, cosiddetti inconfessabili, di cui non parlava con anima viva, ovviamente, ma solo con la buon'anima della nonna morta, in qualche preghiera biascicata. Non era affatto un'eroina romantica con la terribile macchia celata nel cuore che le impediva per sempre di essere felice, o amata, o di amare ancora; anzi, si faceva i fatti suoi piuttosto alacremente: saltava la scuola, frequentava gentaglia poco raccomandabile, e serbava ben nascoste potenzialità e cose buone così che quasi nessuno potesse scorgerle.

Io sì, però, le vedevo e gliene parlai.
E così, Linda finì col confessarmi il suo terribile segreto e scoprì che, tuttosommato, non era questo granché. Oltretutto, ai miei occhi non era neppure un segreto, visto che immaginavo tre buoni quarti di quel che aveva raccontato.
Temevamo entrambi terremoti, e invece è tutto come prima; cambia solo che io e Linda ora siamo un po' più amici.

Il nostro bellissimo Natale bellissimo

Il nostro bellissimo Natale bellissimo è talmente bello che i gamberi si decapitano da soli e scalciano per essere i primi a finire nel risotto. Il salmone che è furbo e prepotente, però, prende a codate tutti con la scusa che lui è l'antipasto ed ha priorità sui crostacei.
Il nostro bellissimo Natale è talmente bellissimo che i regali sono sempre grandissimi e bellissimi, e se sono piccolissimi, li mettiamo comunque in scatole grandissime, così che nessuno abbia da lamentarsi che il suo Natale è meno bellissimo del nostro.
Il nostro bellissimo Natale bellissimo è conosciuto, rispettato e ambìto, tanto che quest'anno ci sono più imbucati sinistri che familiari destri.
Qualcuno mi presta un Natale dei suoi, di quelli normali?

La differenza

La differenza principale tra noi ed il popolo delle ombre è che per loro una cosa semplicemente esiste o non esiste; noi, invece, possiamo comprendere tutte le infinite sfumature che ci stanno di mezzo.

Monsignur Amato

Volevo creare una nuova finzione clericale, un prelato, un vanesio arretrato omuncolo di chiesa, di quelli con le tarme sotto la tonaca e la naftalina nella scatola cranica. Gli avrei fatto dire cose impensabili, senza senso e assurdamente idiote. Cose come basta con la statolatria! Via l'educazione alla cittadinanza! Togliamo l'obbligo dell'educazione civica nelle scuole! Finiamola con queste intrusioni statali assolutamente illegittime sul tema dell'educazione dei giovani!

Infine, per amplificare la ridicolaggine, magari avrei chiosato con un finale ad effetto tipo la smetta lo stato di ingerire nella vita dei cittadini, come se costui sul serio non comprendesse che lo Stato (cioè i cittadini) non può non occuparsi dei cittadini (cioè lo Stato).
Poi però mi sono accorto di non aver creato nulla: questo personaggio risibile esiste già, e si chiama Monsignor Amato.
Peccato.

Della sopravvivenza a letto

Sebbene non esista nessuna regola necessaria che lo spieghi, nel talamo a due piazze, così come nei fatti dell'amore, c 'è sempre uno più forte ed un più debole, e di solito l'ultimo dei due si riconosce sempre perché viene sospinto fuori dal letto a culate, e la mattina lo si trova abbracciato al comodino, il cuscino a terra.

Io, se non s'è capito, appartengo a questi ultimi.

Il personaggio precario

Poiché oggi non mi viene niente da scrivere, lascerò che a parlare sia uno dei miei personaggi, tale Vincenzo Scognamiglio. S'autogestisse, facesse quello che vuole, io gli presto solo le dita; il resto, se la vedesse da sé.

...
...
Posso?
Certo che puoi, datti una mossa, perché ho sonno.
...
Mi scusi, sa l'emozzione...
Si, però dì qualcosa, se no si fa notte. Non è che i lettori vengono a leggere i puntini di sospensione. E poi sono distrutto, voglio solo infilarmi sotto le pezze, che fa pure freddo.
Mi chiamo Vincenzo Scognamiglio e di mestiere sono un personaggio precario.
Scusa, non ti seguo. Come fai a essere precario se non esisti?
Innanzitutto scusi se insisto, eh, ma esisto eccome, anche se a 'na maniera diversa dalla sua. E comungue sono precario nel senzo che oggi presto servizio qua, che sono mili-tan-te, ma domani ho già un altro impegnio. Quindi facimm'ampressa.
Che razza di storia... E quindi? Domani che ruolo dovresti fare?
Domani sono di ruolo ai gabbinetti, con decenza parlando. Facci'o sirial killèr pe' nu scurnacchiato che sta scrivendo nu romanzo di orror ambientato a Niviork, nei cessi della metropolitana. Io sono chill'che fa ammuìn e sangue.
Si, vabbè, ma oggi per me che personaggio fai?
Come che personaggio faccio per lei? Sò Vincenzo Scognamiglio, personaggio mestierante tuttavia nella disaggevole condizione precariatale.
Non mi sembra granché come personaggio, e oltretutto abbiamo sforato il tempo che mi ero dato a disposizione, quindi o ti autoconcludi oppure ti lascio appeso così.
Ma chist' sta pazziann'. Ma che me ne fott'ammè. I' teng'i creature, tengo da lavorare, mica sono venuto a perdere tempo, qua. E' lei che mi ha chiamato, e mo la prestazione se l'è presa. Anzi, dottò. Sarebbero cinquanta euro. Ma per sessanta, posso fare pure l'imitazione di un politico, scelga lei quale. Però mo no che è tardi, se ne parla dopodomani. Mi faccia sapere, eh?
...

L'imponderabilità della tentazione

Hai mai avuto quella insostenibile voglia di qualche cosa di nuovo e diverso, come se ti mancasse un indefinibile quid? Come se non potessi aspettare un giorno di più per averla? Come se il mondo ed il tempo si fossero dilatati così tanto da somigliare a un trasparente filo gommoso e tu, sospeso nel punto più sottile, potessi cadere giù da un momento all'altro se non l'avessi ottenuta?

Hai mai sentito la necessità della necessità? Hai mai avvertito la voglia delle voglie e, tuttavia, vi hai resistito a costo di perdere per sempre la ragione?
Ma porca puttana, me la dovevo proprio mangiare quella fetta di salmone, a cena.

Catastrofe telefonica, o del destino

Stamattina, per rispondere al telefono, il sor Soro ha - nell'ordine - inciampato nelle pantofole che lascia sempre in giro distrattamente, ha catavoltolato contro il divano e, nello slancio, ha afferrato troppo veementemente la cornetta, che è schizzata via come il capitone di Natale e ha sbattuto contro il termosifone facendomi saltare dal letto, allorché si è per una rarissima, incredibile, impensabile coincidenza prodotta una vibrazione che, trasmessa sul cavo telefonico, ha prodotto una serie di eventi a catena  (che sarebbe inutile spiegare a dei profani) che hanno a loro volta formattato i megacomputer del nostro gestore telefonico e hanno impedito per qualche minuto a mezza regione Lazio di telefonare, proprio mentre mamma voleva avvisarmi che il menu di oggi comprendeva i suoi ec-ce-zi-o-na-li involtini alla brace riepini di fontina e scalogno che son tanto buoni da poterci scrivere un panegirico sopra e per un pelo non li ho assaggiati.

Ecco cosa succede a lasciare le pantofole in giro per casa, lo dico sempre io.

L'ordalia niket

In Nikett, i niket sono i pacifici membri di una tribù che dell'arte culinaria ha fatto religione. Met, il dio Pane, s'è unito alla dea Carne e dal loro amore sono nate le uova, le verdure e i legumi.

I frutti della terra, invece, corrispondono ai numerosi genitali di Met e, tra tutti, la melanzana è considerata il più sacro: viene infatti venerata come un santo nostrano, guarnita con collanine di peperoncini e profumata con oli speziati rituali. 
Quando i bambini niket crescono, sostengono una prova che deciderà del loro passaggio all'età adulta, ma non ci sono carboni ardenti da attraversare. 
La prova consiste nel camminare sul soffritto, il che, a giudizio di qualcuno, è ben peggiore dei tizzoni incandescenti.

L'eritema anatema

Noi simpatici simbionti siamo tanto affiatati e onesti che alle volte mi faccio autotenerezza.

Qualche altra volta, però, siamo anche genuinamente bastardi e un filo scorbutici, così che se qualcuno di noi parte in viaggio ai Caraibi, noialtri gli auguriamo dissenteria, cagotto ed eritema anatema.
E ciò è giusto, perché fa parte dei legami più saldi un po' di sano, legittimo cinismo.

L'uomo che abita sul mio soffitto

Sul soffitto di casa mia abita un uomo, l'Uomo Crapasotto. Cucina, deambula e parla sempre così, a testa in giù, e non sembra affatto dolersene, né meravigliarsene.

Della sua esistenza mi accorsi tempo fa allorché, disteso sul letto, avevo notato delle impronte sul soffitto della mia camera; magari è muffa, pensai, ma a guardarle meglio non c'era dubbio: erano proprio tracce di scarpa, con tanto di striature delle suole.
Di solito, non capita mai che ci si incontri, lui ha la sua vita e io la mia, ed è così che mi piace. Tuttavia, questa sera è accaduto qualcosa, qualcosa di diverso.
Eravamo entrambi in piedi quando un tintinnio inaspettato, proveniente dal soffitto, m'ha fatto alzare gli occhi, ed è lì che è accaduto l'inusitato. Un osservatore in lontananza avrebbe visto due uomini perfettamente allineati intenti a guardarsi, uno coi piedi saldamente ancorati al soffitto e la testa all'ingiù, l'altro - a pochi centimetri di distanza - coi piedi in terra e la testa all'insù.
Buonasera, gli faccio, o qualcosa del genere. Altrettanto, mi fa lui, mentre continuava a fissarmi.
Ma lei, gli ho chiesto, non ha paura di cadersene giù, un giorno o l'altro?
Guardi, in tutta onestà mi son sempre domandato com'è che tutta questa roba dalla sua parte, lei compreso, non mi è ancora piombata addosso. Tuttavia voglio che sappia che sono assolutamente soddisfatto di questa nostra curiosa convivenza.
Mi divenne subito simpatico, così continuai a parlare del più e del meno, che squadra tifi, che tempo di merda, quanto zucchero e quanti limoni usi per fare il limoncello e così via, cose normali.
Poi mi chiese senta, ma perchè non viene a prendere un caffè qui da me? ed io, vagamente interdetto, esitai un momento ma poi dovetti desistere.
Non che non apprezzi l'invito, si intende, ma forse non è il caso. Tantopiù che non saprei neppure come venir su.
Se non può, non fa niente, m'ha risposto. Quanto a venire su, se è questo il problema, non ci vuole mica chissaché, basta percorrere questa stanza continuamente e senza fermarsi. Saranno al massimo cinque metri, mi creda.
Ma non gli credetti. Magari sarà per la prossima volta, gli ho risposto affatto convinto e visibilmente imbarazzato. E mi congedai.
Ora sono le tre del mattino e sto ancora qui nel letto a rigirarmi e a pensare che forse aveva ragione l'Uomo Crapasotto e che forse avrei dovuto tentare, anche solo una volta. Magari è sul serio sufficiente un paio di passi, per passare dall'atra parte del mondo. Ma non ne ho avuto semplicemente il coraggio, sono fatto così.
Però una capatina la potevo fare, se non altro per dirgli di pulirsi le scarpe, prima di mettere ancora piede sul soffitto della mia camera.

Il batuccolo

Il batuccolo è un affare che ricorda per noi quello che siamo, cosicché seppure ci costringessero a scordare noi stessi, sapremmo ritrovarci.
Per alcuni di noi, tuttavia, resta un congegno di naturale inutilità, mentre per altri rappresenterebbe la manna dal cielo. Curioso, no?

Il bonsai di Natale

Il nostro bonsai di Natale è piccolo e bruttarello, persino stortarello. Ha la base troppo grossa rispetto al resto del tronco, se ne sta mortificato in un angoletto e, a seconda di chi lo guarda, sembra sempre troppo carico di gingilli, palline e cazzabubboli, oppure rovinosamente spoglio.
In realtà, è l'enorme tributo di un popolo di creature microscopiche che vivono a casa mia e che lo hanno eretto in onore di me, loro dio e creatore, nell'intento di ingraziarmi e rendere fecondi i loro tre sessi (si, queste creature per figliare lo devono fare in tre, embè?).
E quindi come si fa a mortificare così l'opera più grandiosa di un'intera civiltà, solo perché nata e sviluppata in un angolo di casa mia?

Ricerche assurde

Alcune delle ricerche che la gente fa su Gugol (giuro, sono prese da qui):

voglio il ragazzo
(tutto maiuscolo)
dio fa ricrescere i capelli
video porno sui nani
aWilita che quasi son felice

Ma non è tanto questo, che mi diverte, quanto il fatto che dopo, queste persone hanno fatto subito clic sul mio blog.
L'ho sempre detto che nelle mie storie c'è molto più di quel che ci metto io, però la nanopornografia proprio non l'avrei mai sospettata.

Prove estreme d'amour

Bacino piedino? è la domanda civettuola.
Bacia il piede.
Bè? Che c'è, puzza?
Non puzza,
fa lui, non puzza più, ormai. E' passato alla fase successiva: s'è già reincarnato.
E lo bacia ancora.
Chi si schifa, non ha mai veramente amato.

La corsa dei pensieri, invece di lavorare

Sono giorni che non fa altro che piovere.
Allora, per sfuggire a maltempo e cieli cinerini, avevo deciso di rifiugiarmi in qualche mio racconto, ma non c'è stato niente da fare. In un caso ero un uomopesce nel pianeta Monterotondoscalo V (per una curiosissima coincidenza glottologico-siderale il pianeta portava il nome di un orrendo paese laziale) e la cosa più asciutta che potevo trovare era il conglomerato di alghe e poltiglia marina su cui la mia civiltà costruiva monumenti al dio del mare e della poltiglia marina.
Allora ho cambiato genere, e mi sono rifiugiato in Adalbert Brandt, un noto produttore di filetto di merluzzo surgelato finito naufrago su un isolotto caraibico nei pressi dell'Hispaniola. Purtroppo era giugno inoltrato, e mi sono beccato il tornado Hermes che m'ha distrutto la catapecchia e sbattutto in mezzo all'oceano.
Allora sono diventato nell'ordine: bambino, poi una cellula e infine un infallibile pistacchio che crescono dove fa caldo e riuscirò a scaldarmi un po', dico io. Ma nel regredire, mi sono lasciato prendere la mano e sono diventato un feto a mollo dentro un liquido tipiedino e appiccicoso; la cellula, invece, era una cellula di non vi dico cosa. Diciamo solo che a quanto ho visto, non è molto asciutta la vita delle cellule.
Come pistacchio, invece, sono durato praticamente sei secondi. Perché sono finito direttamente nel gelato di Loredana Bocci, bidella alla scuola elementare di Cefalù e donna dal temperamento lievemente indolente e mesto. Dopo che era stata lasciata dall'amante - detto tra noi, non è stata una grossa perdita - aveva affogato letteralmente i dispiaceri in cassate, frolle e bauletti di brisèe con crema al limone. Insomma, per farla breve, aveva deciso di riguadagnare il tempo perso e aveva deciso di rifarsi una vita, così, simbolicamente, aveva gettato il gelato al pistacchio - con me dentro - a mare.
Nessuna meraviglia: ho sempre avuto la nettissima sensazione di non essere io, il padrone delle mie storie.