Il ragazzo perfettamente in equilibrio

La festa in cui si muoveva stanotte il ragazzo perfettamente in equilibrio era quanto di più noir e sordido avesse mai sognato: l'arrendevolezza d'una casa grande e un tempo molto bella, l'abbraccio del mobilio antico e decadente, conoscenti di conoscenti noti a qualcuno e per lo più sconosciuti, musica alta ed ipnotica, imballabile, personaggi bizzarri egocentrici e tutti sempre leopardati o tappezzati di appiccicosa pelle nera, ragazzi giovani e ragazzi parecchio meno giovani con qualche ruga di troppo, un po' di panza e il fegato passato a miglior vita che, tra i fumi di una stanza e la polvere dell'altra, si lanciavano in  brillanti interminabili conversazioni sulla loro esperienza di vita demolita che esigono sempre più trasandata e malsana.
Il ragazzo equilibrista aveva sempre ritenuto che un posto, una condizione e gente di quel tipo l'avrebbero reso diverso per sempre, che sarebbe diventato parte di quel mondo, che avrebbe finito col liberare il lupo mannaro che talvolta in passato aveva sentito dentro azzannargli le viscere.
In realtà, mai come in quel maroso di estremi si era sentito pulito, in pace con se stesso e perfettamente in equilibrio sulla propria vita; era come se le fantasie che talvolta gli si rastremano dal buio fino in testa fossero per l'appunto solo fantasie, e ne fosse finalmente cosciente.
No, non era giudizio, distacco o superiorità. Trovava irresistibili quei discorsi; adorava essere avviluppato dalla pece che copriva alcune di quelle anime, e c'era anche buona gente, buon cibo e buon vino.
Eppure, non poteva fare a meno di sentirsi una lancetta sul mezzodì o la bollicina nella livella.
Il ragazzo in equilibrio se ne meravigliò parecchio: ciò che era diventato, se l'era costruito un pezzetto alla volta ed era esattamente così che sentiva di dover essere.

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