Stanotte pensavo

Stanotte pensavo che il nostro universo rappresenta una singolarità poiché differisce per un solo particolare da altri universi simili. Facciamo le stesse cose, mangiamo le stesse cose, parliamo le stesse lingue e c'è persino un numero infinito di me stessi che in questo momento stanno scrivendo queste parole.
La differenza tra noi di questo universo e tutti gli altri è, poi, anche la spiegazione della nostra schizofrenia congenita e incurabile: altrove, le persone si consolano per motivazioni biologiche.
Sui polpastrelli delle loro mani, infatti, affiorano terminazioni nervose molto particolari, attraverso le quali essi possono - semplicemente tenendosi per mano - condividere il dolore fisico e la stanchezza tra di loro, in parti uguali, dividendolo di volta in volta.
E' come se la sofferenza fosse un liquido amaro e, versandone un po' nei calici di tutti di volta in volta, si dimezzasse, così che tutti potessero berne un quantitativo troppo esiguo per star male, troppo poco da essere insopportabile.
Così, attorno al capezzale d'un moribondo, tutti cinti per mano li vedo ridere, scherzare e godersi la vita come stessero su un prato in una giornata di primavera.
Nel nostro universo accade dunque che sogliamo stringerci come fanno tutti gli altri, ma difettando delle opportune terminazioni nervose, il male non può essere condiviso e resta confinato nel corpo di uno solo, che langue e s'appassisce.
Per sopperire a questa grave menomazione, la natura ha inventato l'empatia, che però non è altrettanto efficace; ecco perché non siamo veramente toccati dal dolore, se non ci riguarda personalmente.
Questo è quello che pensavo stanotte, mentre un un'unghia incarnita non mi faceva chiudere occhio.

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