La mano del dio pasticcere

Si sente. E' nell'aria il cambiamento, la mutevolezza, la commistione.
La farina freme e sbuffa come una zia pedante... nuvolette soffici e polverose di doppiozero eruttano a cadenza regolare dal pacco e imbiancano la credenza in cucina.
Il burro già si scioglie nel frigorifero, come se non potesse aspettare oltre, come se avesse impazienza di attendere le mani che lo impasteranno.
La cioccolata vibra nervosa e si rompe in scaglie e l'acqua è già due o tre gradi più tiepida, come se gli atomi che la compongono cozzassero e premessero per essere i primi fortunati a gettarsi nel bagnomaria.
Lo zucchero è l'unico che attende contegnoso, perché ha altro a cui pensare, quel venduto che va un po' con tutti e ci va tutto l'anno.
E' davvero come se la donna che preparerà questi ferri di cavallo sia solo l'ultimo tassello, il simbolo d'una trama più grande che la Natura teneva in serbo, la mano d'un qualche dio pasticcere fatto donna che non solo spezza il pane e rende grazia, ma se lo inforna pure. Quasi, pare che questi ingredienti, in un impeto di casualità, avrebbero potuto scontrarsi assieme e rendersi biscotto come gli antichi amminoacidi, nei tempi remoti, s'abbracciarono per creare amore e vita.
Ed il mio stomaco, anch'esso prostrato verso l'ineludibile futuro, già s'agita e ruggisce come uno spirto guerrier, al solo pensiero del profumo di quei simulacri di divinità coperti di cioccolata.

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